Quel nodo irrisolto dei rimborsi «fuori tempo»
Alla fine l’ ufficializzazione della proroga al 12 giugno è arrivata (anche se si attende ancora la pubblicazione del Dpcm in «Gazzetta Ufficiale»). Sta di fatto che sulle nuove comunicazioni Iva si è manifestata un profondo malcontento dei professionisti tanto da aver portato le associazioni sindacali dei professionisti a indire uno sciopero, che poi è stato revocato.
Più volte è stato segnalato che quest’obbligo è in linea con quanto prevede la direttiva dell'imposta sul valore aggiunto, dove l'adempimento ha la natura di una vera e propria dichiarazione. E come tale dovrebbe consentire a chiunque di chiedere immediatamente il rimborso dell'Iva per la parte che non ritiene di utilizzare a riporto.
Ben diverso è il caso della comunicazione dei dati delle fatture, dove l'onere dell'informazione relativa a tutte le fatture emesse ed a quelle ricevute e registrate non trova alcun conforto nelle prescrizioni dell’Unione europea. Se vogliamo sostenere che questo adempimento è il precursore dell’obbligo generalizzato di fattura elettronica tra i soggetti di imposta, non dobbiamo dimenticare che la fattura semplificata, già prevista normativamente per importi limitati (sino a 100 euro, articolo 21-bis legge Iva e articolo 220 bis della direttiva) non sarà mai una fattura elettronica con tutti i requisiti. Basti pensare a quella da dieci euro per il pranzo di lavoro.
Passando ad esaminare le risposte dell’agenzia delle Entrate alle Faq sulle liquidazioni , per risolvere la parte prevalente dei problemi proposti, bastava porre a raffronto il nuovo modello con i quadri della dichiarazione annuale. Non ha infatti, ad esempio, alcun senso chiedere se le fatture passive in reverse charge debbano o meno essere indicate nell’imponibile delle operazioni attive, in quanto nessuno ha mai pensato di mettere questo valore nel quadro VE della dichiarazione annuale: rileva soltanto il relativo debito di imposta.
Le risposte di interesse generale sono due:
■la comunicazione non è richiesta nel caso in cui il contribuente (e sono tanti tra i sette milioni di titolari di partita Iva) non abbia posto in essere operazioni attive e conseguentemente non abbia registrato fatture di acquisto, la cui annotazione sarà eseguita per poterle portare in detrazione, quando ci sarà un’Iva dovuta sulle operazioni attive. Se però c’è un riporto a credito che “attraversa” un periodo senza operazioni, la comunicazione deve essere presentata;
■il contribuente che si accorge di un errore su una comunicazione già presentata può farlo nuovamente, in quanto il sistema telematico accoglie eventuali comunicazioni inviate successivamente alla prima, per correggere errori od omissioni, anche oltre il termine di scadenza ordinario. La comunicazione successiva sostituisce quelle precedentemente trasmesse.
Interessante è anche la risposta relativa ai versamenti non eseguiti tempestivamente. Il modello di comunicazione non chiede l’indicazione dei versamenti per chiudere le posizioni a debito. Dobbiamo però dire che questo è il vero scopo della comunicazione periodica: conoscere in tempo pressoché reale i soggetti che non hanno eseguito i versamenti nei termini.
Se non coprono questa omissione con una condotta chiaramente illecita, quella cioè di alterare qualche dato della comunicazione, in modo che non chiuda a debito.
Gli unici versamenti da indicare riguardano un caso molto particolare, quello relativo al pagamento dell’Iva dovuta per la prima cessione interna di veicoli già oggetto di acquisto intracomunitario.
Agenzia delle Entrate, le Faq sulle comunicazioni dei dati delle liquidazioni Iva