Controlli e liti

Raddoppio dei termini black list alla prova della libera circolazione dei capitali

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di Francesco Avella


La Corte di giustizia ( sentenza sulla causa C-317/15 ) riapre la discussione sulla legittimità del raddoppio dei termini di accertamento previsto in caso di attività detenute in paesi black list.

La discussione è ben diversa da quella che sta impegnando, con alterni risultati, le Commissioni tributarie provinciali e regionali di quasi tutta Italia. In quelle sedi, viene posto l’accento sulla irretroattività dell’articolo 12 del Dl 78/2009 e quindi sulla sua inapplicabilità a periodi d’imposta precedenti quello della sua entrata in vigore. E, quindi, solo incidentalmente sul raddoppio dei termini che ne consegue. Da ultimo, ad esempio, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha concluso, con sentenza 692/2/2017 del 23 febbraio 2017, per la irretroattività dell’articolo 12 del Dl 78/2009, in linea con la giurisprudenza dominante, affermando il carattere sostanziale e non meramente procedurale della norma. Quest’ultima discussione, tuttavia, perderà presto di attualità, poiché per tutti gli atti emanati dall’amministrazione finanziaria con riguardo ad annualità successive all’anno 2009 il divieto di retroattività non sarà più utilmente opponibile.
Gli spunti di riflessione forniti dalla sentenza della Corte di giustizia potrebbero quindi assumere un ruolo determinante nelle controversie con il fisco.

Nella sentenza in questione, la Corte di giustizia affronta la compatibilità con il principio di libera circolazione dei capitali (articolo 63 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea), della normativa olandese che prevede termini di accertamento di dodici anni per gli elementi di reddito generati all’estero su cui è stata prelevata un’imposta troppo bassa, contro i cinque anni ordinariamente applicabili. Una normativa, quindi, molto simile a quella italiana sul raddoppio dei termini di accertamento per attività in paesi black-list. La Corte di giustizia afferma che una tale normativa è idonea a restringere il principio di libera circolazione dei capitali, applicabile anche nei confronti dei paesi terzi e, quindi, valevole anche per paesi diversi dagli Stati membri dell’Unione europea quali ad esempio la Svizzera e il Principato di Monaco.

La Corte di giustizia non statuisce se una tale restrizione sia giustificata e proporzionale (e quindi legittima nell’ottica del diritto dell’Unione europea) o meno (e quindi vietata dal diritto dell’Unione europea), poiché la normativa olandese risultava già in vigore prima del 31 dicembre 1993 previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, del Trattato di funzionamento dell’Unione europea e, quindi, è oggetto di apposita salvaguardia.

La normativa italiana, al contrario, è entrata in vigore ben oltre il 31 dicembre 1993 (nel 2009, per l’appunto) e pertanto non è oggetto di salvaguardia. E ciò significa che il principio di libera circolazione dei capitali potrebbe concretamente decretare l’illegittimità del raddoppio dei termini di accertamento per attività in paesi black-list per violazione del diritto dell’Unione europea.

Corte di giustizia, sentenza causa C-317/15

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