Registro fisso sulla penale moratoria con valenza autonoma
Ai fini dell’imposta di registro e relativamente ad un contratto di locazione l’eventuale previsione delle parti contraenti di un interesse aumentato rispetto a quello legale in ipotesi di ritardato pagamento del canone o delle quote per gli oneri accessori, senza necessità di messa in mora, è assimilabile ad una clausola penale moratoria avente causa distinta da quella del contratto cui afferisce, rispetto al quale assume una sua rilevanza contrattuale autonoma, anche se ad esso collegata e complementare. Questo il principio che si ricava dalla sentenza della Ctr Lombardia n. 2311/2019 del 28 maggio 2019 .
La questione controversa, che ha riscontrato interpretazioni divergenti da parte dei giudici tributari milanesi di primo e secondo grado, concerneva l’impugnazione da parte di una società immobiliare di alcuni avvisi di liquidazione emessi a suo carico dall’agenzia delle Entrate per imposta di registro inerente una clausola inserita in alcuni e distinti contratti di locazione stipulati dalla stessa società; in tale clausola , in forza della quale le parti ne avevano pattuito la risoluzione ipso jure in caso di omesso o solo parziale adempimento nel pagamento del canone o in caso di non autorizzata mutata destinazione d’uso dei locali, veniva altresì previsto che «il ritardato pagamento del canone o delle quote per gli oneri accessori avrebbe comportato il pagamento di un interesse concordato in misura pari a quello legale aumentato di 3 punti, con decorrenza dal giorno successivo a quello convenuto per il pagamento, senza necessità di costituzione in mora».
Il principale motivo d’impugnazione dell’atto impositivo si fondava sulla natura della citata clausola che , secondo la ricorrente, non doveva essere ricondotta al quadro della “penale” ma avrebbe avuto solo la funzione di determinare convenzionalmente un saggio di interesse superiore a quello legale, all’unico scopo di escludere una vera e propria penale per risarcimento del danno o del maggior danno subito, con conseguente sua sottrazione all’applicazione autonoma dell’imposta.
I giudici di prime cure accoglievano le doglianze della contribuente , annullavano pertanto la pretesa erariale fondata sull’assunto che, trattandosi invece di una vera e propria clausola penale, doveva applicarsi il disposto di cui all’art. 27 T.U.R. ( Testo Unico Registro) in tema di atti sottoposti a condizione sospensiva; sul punto la Ctp statuiva che “l’estensione in via analogica, della clausola de qua, all’ art. 27 TUR non appare condivisibile, in quanto non si tratta di atti sottoposti a condizione sospensiva, bensì di clausola che ha l’effetto di limitare il pregiudizio discendente dalla condotta debitoria nella misura pattuita dai contraenti”.
Decisione che i giudici d’appello decidono di riformare con un richiamo al codice civile ( 1382 c.c.) ed ai principi espressi dai giudici di legittimità (Cass. ord. n. 10046- 2018 / Cass. n. 24299/2006).
Con riferimento all’ art. 1382 c.c. , afferma il Collegio, appare evidente che la clausola penale è prevista sia in caso di inadempimento (c.d. penale per mancato e definitivo inadempimento) sia in caso di ritardo nell’inadempimento (c.d. penale moratoria), realizzando una duplice funzione, ovvero , da un lato, rafforzativa del vincolo contrattuale in quanto è dovuta indipendentemente dalla prova del pregiudizio subito, e , dall’altro, agevolativa del contenzioso poiché serve a limitare e predeterminare 1’entità del risarcimento del danno, sempre che non sia convenuta la risarcibilità del danno ulteriore.
All’uopo la clausola contenuta nei contratti di locazione , oggetto del contendere ,come articolata, dava origine a una pattuizione complessa, composta di due enunciati precettivi: il primo declinante una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c..), il secondo una clausola penale moratoria, pattuendo un interesse convenzionale, pari al tasso legale aumentato di tre punti e senza necessità di previa costituzione in mora, sì che la natura volontaria ed accessoria di tale clausola fosse da considerare insita nella stessa sua formulazione e previsione, condizionata al ritardato adempimento del versamento di interessi di mora superiori al tasso legale di riferimento.
Alla luce di tali considerazioni il Collegio rammenta il principio di carattere generale affermato dai supremi giudici in base al quale la clausola penale ha una causa distinta da quella del contratto cui afferisce, rispetto al quale assume una sua rilevanza contrattuale autonoma, anche se ad esso collegata e complementare, e ciò in quanto , nell’ambito dell’autonomia privata loro riservata, le parti possono prevedere l’adempimento o l’inadempimento di una di esse quale evento condizionante l’efficacia del contratto in senso sospensivo o risolutivo.
Pertanto, chiosa il Collegio, il dedotto e richiamato regime della tassazione unica ( articolo 21, secondo comma, TUR) , in caso di disposizioni contenute nell’atto e fra loro in rapporto di derivazione necessaria, non risultava confacente al caso di specie essendo la più volte citata clausola frutto di una ulteriore e particolare volontà pattizia andatasi, per scelta discrezionale delle parti, ad aggiungere a una regolamentazione contrattuale già di per sé compiuta e autosufficiente, non rispondente all’univoco criterio che informa il regime della tassazione unica invocata.