Reverse charge per le cessioni di non residenti a soggetti passivi in Italia
Le operazioni attive effettuate nel territorio dello Stato da un soggetto non residente a favore di un soggetto passivo italiano sono assoggettate a Iva in Italia mediante il meccanismo del reverse charge ancorché il soggetto estero sia identificato ai fini Iva in Italia tramite identificazione diretta o rappresentante fiscale. Tale principio si desume direttamente dall’articolo 17, comma 2, del Dpr 633/1972 come modificato dal Dlgs 18/2010 in recepimento dell’articolo 196 e in attuazione della facoltà concessa dall’articolo 194 della direttiva Iva 112/2006. Il legislatore nazionale, infatti, con le modifiche del 2010 ha attuato la facoltà concessa agli Stati membri dalla direttiva consistente nella possibilità di applicare il meccanismo del reverse charge, non solo per le prestazioni di servizi poste in essere da soggetti “non stabiliti” nel territorio dello Stato a soggetti ivi stabiliti, secondo la regola generale di territorialità prevista per i rapporti B2B, ma anche per le altre prestazioni di servizi e cessioni di beni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti ivi non residenti nei confronti di soggetti passivi ivi stabiliti ( circolare 37/E del 2011 ).
Secondo l’attuale disposizione normativa, l’identificazione diretta o il possesso di un rappresentante fiscale da parte del soggetto estero non rilevano ai fini dell’effettiva identificazione del debitore dell’imposta che, per le operazioni effettuate in Italia a favore di un soggetto passivo ivi stabilito, rimane quest’ultimo. In tal senso per le operazioni effettuate in Italia il soggetto non residente diviene debitore dell’imposta ed i relativi obblighi e i diritti devono essere adempiuti da quest’ultimo direttamente, se identificato ai sensi dell’articolo 35-ter del Dpr 633/1972, o tramite un proprio rappresentante fiscale, solo quando il soggetto non residente effettui un’operazione in Italia nei confronti di soggetti che agiscono in qualità di privati consumatori o di soggetti non stabiliti in Italia ovvero quando lo impongono esigenze della disciplina sugli scambi intracomunitari.
Recentemente tale impostazione, ritenuta pacifica dopo le modifiche introdotte dal Dlgs 18/2010, è stata messa in discussione dalla Cassazione che con l’ ordinanza 19482/2016 ha chiesto al primo presidente la rimessione alle Sezioni Unite. In particolare nell’ordinanza, la Suprema corte è stata chiamata ad esprimersi su di un procedimento in cui l’agenzia delle Entrate riteneva elusivo il comportamento di una società croata con rappresentante fiscale in Italia che, in relazione ad un contratto di costruzione sul territorio italiano, riceveva le fatture passive per acquisti di materiali e servizi con Iva italiana per il tramite del rappresentante fiscale ed emetteva le relative fatture attive con la propria posizione estera a favore di soggetti italiani (e quindi senza applicazione dell’imposta) ritrovandosi conseguentemente a credito di Iva.
Secondo la Suprema corte il comportamento della società era da ritenersi illegittimo in relazione all’articolo 17 nella versione applicabile prima delle modifiche intervenute con il Dlgs 191/2002 adombrando dei dubbi anche rispetto all’attuale formulazione introdotta dal Dlgs 18/2010, in quanto la disposizione normativa pur prevedendo l’obbligatorietà del sistema del reverse charge per le operazioni di cessione da soggetto non residente ad uno residente, al terzo comma stabilirebbe che per le operazioni effettuate nel territorio dello Stato il soggetto non residente e senza stabile organizzazione dovrebbe sempre adempiere agli obblighi ed esercitare i diritti in materia di Iva nei modi ordinari direttamente, se si è identificato ovvero, se ha provveduto alla nomina del rappresentante fiscale, tramite quest’ultimo.
In realtà dopo le modifiche intervenute con il Dlgs 18/2010 il comma 3 dell’articolo 17 del Dpr 633/1972 non può che essere interpretato nel senso che l’intervento del rappresentante fiscale o della identificazione diretta è richiesto in via residuale solo nel caso in cui gli obblighi e i diritti dell’imposta siano previsti a carico ovvero a favore del soggetto non residente, fattispecie che si verifica solo quando l’operazione è effettuata dal soggetto non residente nei confronti di soggetti diversi da quelli passivi stabiliti nel territorio dello Stato.
La conseguenza pratica di tale impostazione, quindi, è che allorquando il soggetto non residente, indipendentemente dal fatto che sia identificato o disponga di rappresentante fiscale in Italia, effettui un’operazione in Italia a favore di un soggetto passivo ivi stabilito sarà quest’ultimo ad essere il debitore dell’imposta e tenuto ad autofatturarsi o integrare la fattura (nel caso di cedente/prestatore comunitario) ai sensi degli articoli 46 e 47 del Dl 331/1993. In tal caso l’eventuale documento emesso con partita Iva italiana dal rappresentante fiscale del soggetto passivo estero sarà da considerare non rilevante come fattura Iva e dovrà essere richiesta al suo posto la fattura emessa direttamente dal fornitore estero ( risoluzione 21/E del 2015 ).