Imposte

Reverse charge, strada in salita per la detrazione del committente se l’imposta non è assolta

di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri

Quando il cedente o prestatore emette fattura con Iva per un’operazione che ricade nel regime dell'inversione contabile e l’imposta viene comunque assolta ovverossia se, come precisa la circolare 16/E/2017 , confluisce nella liquidazione periodica del fornitore del bene/servizio, secondo le Entrate rimane salvo il diritto di detrazione in capo al cessionario o committente. In tal caso, ai sensi dell’articolo 6, comma 9-bis1, Dlgs 471/1997, la sanzione è fissa (da 250 euro a 10 mila) e colpisce il destinatario della fattura, con la responsabilità solidale dell’emittente (la pena diventa proporzionale solo in caso di consapevolezza dell’intento fraudolento o evasivo altrui). La circolare, tuttavia, non spiega cosa succede se l’imposta non è assolta, con ciò potendosi intendere che il debito tributario, oltre che non pagato da chi ha emesso la fattura, non emerge neppure dalla liquidazione Iva.

Il silenzio sul punto potrebbe essere letto come un’implicita (parziale) adesione dell’amministrazione finanziaria all’orientamento della Corte di giustizia Ue sulla questione della detrazione dell’imposta indebitamente fatturata per un’operazione che ricade nel reverse charge. Secondo i giudici comunitari (causa C-424/12), infatti, diversamente da quanto prevede la norma nazionale, l’Iva applicata per errore non sarebbe detraibile, potendo solo esserne chiesta la restituzione al fornitore oppure, qualora ciò sia impossibile o eccessivamente difficoltoso, il rimborso direttamente all’erario (causa C-564/15). Seguendo l’impostazione della Corte di giustizia, secondo cui non è detraibile l’imposta erroneamente addebitata per un’operazione in reverse charge, circostanza che, ai sensi dell’articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/97, farebbe anche scattare la sanzione del 90% dell’Iva (importo verosimilmente eccessivo, visto che per i giudici della sentenza C-564/15 è sproporzionata anche una sanzione del 50 per cento), il problema dell’incompatibilità della norma interna rispetto alla disciplina comunitaria ne uscirebbe ridimensionato.

Il disallineamento, infatti, andrebbe circoscritto al caso in cui l’imposta è stata assolta (nel senso precisato dalla circolare), dato che l’Iva risulta detraibile in base all’articolo 6, comma 9-bis1, ma è sempre indetraibile in base alle statuizioni della Corte Ue. Se questa sarà l’interpretazione delle Entrate, in caso d’imposta non assolta l’erario godrebbe della massima tutela, dato che l’Iva sarebbe esigibile nei confronti dell’emittente in quanto indicata in fattura (articolo 21, comma 7, del Dpr 633/72), ma indetraibile per il cessionario/committente. Spetterebbe poi alle parti rimettere le cose a posto (salvo il caso dell’insolvenza del fornitore). Il cliente, infatti, non potendo detrarre l’imposta, dovrebbe chiederne la restituzione al fornitore (se gli è stata pagata), mentre quest’ultimo potrebbe chiederne il rimborso all’erario, in linea con le indicazioni della stessa Corte di giustizia (fra le altre, si vedano le sentenze nelle cause C-35/05 e C-427/10).

L’effetto indiretto di tale possibile ricostruzione, la cui correttezza andrebbe però confermata, potrebbe essere quello di spingere chi riceve una fattura con Iva e si avvede dell’errore, a non confidare troppo nell’applicazione della sanzione ridotta e a decidere invece per la regolarizzazione (si ritiene con le regole del comma 9-bis, dell’articolo 6, Dlgs 471/97), evitando così le conseguenze del possibile inadempimento del fornitore che ometta di computare il debito Iva nella liquidazione.

Agenzia delle Entrate, circolare 16/E/2017

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