Riporto perdite, soggetti Irpef «allineati» alle società di capitali
Il Ddl di bilancio 2019 interviene sulle modalità di impiego delle perdite di periodo derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e dalla partecipazione in società in nome collettivo ed in accomandita semplice. L’intervento si sviluppa lungo le seguenti direttrici.
In primis, viene superata la storica dicotomia tra perdite sofferte in regime di contabilità semplificata e perdite sofferte in regime di contabilità ordinaria con il varo di un unico sistema di impiego basato sul riporto in avanti senza limiti di tempo.
In secondo luogo, viene estesa alle perdite in discorso una limitazione all’utilizzo analoga a quella introdotta nel 2011 per le perdite sofferte dalle società di capitali e dagli enti commerciali residenti: l’utilizzo viene, infatti, consentito nei limiti dell’80% dei relativi redditi conseguiti nei periodi d’imposta successivi e per l’intero importo che trova capienza in essi.
Essendo, peraltro, mantenuto fermo il rinvio al comma 2, articolo 84 del Testo unico, dovrebbe essere ammessa la possibilità di utilizzare, senza limiti di tempo e senza limitazioni quantitative, le perdite sofferte nella fase di avvio di una nuova iniziativa produttiva.
Si prevede, infine, un regime transitorio caratterizzato dall’operatività di una limitazione quantitativa all’utilizzo più consistente di quella ordinaria.
Quali le ragioni che animano la riformulazione dell’articolo 8 del Testo unico?
Innanzi tutto l’esigenza di semplificare il sistema di utilizzo delle perdite di periodo rendendo comuni le modalità di impiego delle stesse mediante la generalizzazione di un modello che, per evidenti esigenze di gettito, tende a garantire che, in ciascun periodo d’imposta di utilizzo, si registri un livello minimo di tassazione. E che le esigenze di gettito non siano affatto estranee all’intervento in gestazione parrebbe confermato dalla previsione di un regime transitorio piuttosto penalizzante. È chiara poi la volontà di porre finalmente rimedio alle distorsioni causate dalla recente riscrittura dell’articolo 66 del Testo unico che, ridefinendo le modalità di imputazione a periodo delle componenti del reddito prodotto dalle imprese di minori dimensioni, si disinteressa degli effetti prodotti, in termini di emersione di extra-perdite, dalla gestione delle rimanenze di magazzino nel passaggio, appunto, al nuovo criterio di imputazione temporale.
Intervento, dunque, opportuno anche se non privo di criticità.
Sfugge, infatti, la ratio sottesa alla scelta di differenziare il trattamento delle perdite derivanti dall’esercizio di attività d’impresa da quello delle perdite sofferte dagli esercenti arti e professioni per le quali, è bene precisare, resta fermo il modello della compensazione orizzontale.
Tutta da verificare è poi la tenuta sul piano del rispetto del principio della capacità contributiva della scelta di confinare, seguendo una logica da prelievo reale e non personale, l’impiego delle perdite entro il ristretto ambito della categoria di appartenenza con il rischio, tutt’altro che remoto, di colpire un reddito complessivo che, essendo generato da una pluralità di fonti, può essere in tutto o in parte inesistente.