Semplificazione a rischio di errore
Le novità relative alla dichiarazione di intento degli esportatori abituali sono l’ennesimo esempio di come un obiettivo di semplificazione e di eliminazione delle comunicazioni possa invece determinare ulteriori rischi di errore e di sanzioni.
Il fornitore dell’esportatore abituale è già penalizzato dall’incremento del suo credito Iva, in quanto non può computare queste vendite per generare plafond. Nel tempo si sono susseguite disposizioni che hanno imposto formalità anche più gravose per il fornitore rispetto a quelle che fanno carico all’esportatore, il cui mancato rispetto ha sempre comportato sanzioni notevoli.
L’innovazione del decreto crescita presenta non poche criticità. Leggiamo dal dossier parlamentare che la norma precedente prescriveva che «la dichiarazione dalla quale risultava l’intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta fosse redatta in duplice esemplare, progressivamente numerata dal dichiarante e dal fornitore o prestatore, annotata entro i 15 giorni successivi a quello di emissione o ricevimento in apposito registro e conservata, e che gli estremi della dichiarazione fossero indicati nelle fatture emesse in base ad essa».
Certo viene meno l’annotazione della dichiarazione «in apposito registro», anche se ci sarà la necessità per il fornitore di scaricare la dichiarazione nel caso di forniture ripetute entro il massimale della richiesta. Solo in apparenza non c’è più la copia da trasmettere al fornitore con gli estremi di protocollazione da parte dell’Agenzia : il sito delle Entrate per la verifica della corretta trasmissione della dichiarazione di intento richiede comunque il protocollo della dichiarazione di intento e il suo progressivo, che pertanto il cliente esportatore dovrà ben comunicare al fornitore per consentirgli la convalida della richiesta.
Il fornitore dovrà poi indicare in fattura gli estremi di questo protocollo di ricezione della dichiarazione. Il riscontro sul sito dell’Agenzia deve essere eseguito prima di «effettuare» le operazioni. Così dice l’atto parlamentare e pertanto la dichiarazione di intento deve essere riscontrata prima della consegna dei beni, non essendo regolare la verifica eseguita tra la data di consegna e la data di fatturazione.
A proposito di penalità, il testo oggi vigente dell’articolo 7 del Dlgs 471/1997 commina la sanzione dal 100% al 200% dell’imposta sia a chi richiede la vendita senza Iva non avendone i requisiti o per importi eccedenti (lo splafonamento) sia a chi emette la fattura senza Iva, tanto in mancanza della dichiarazione di intento (comma 3), quanto a chi non abbia “prima” riscontrato per via telematica l’avvenuta presentazione della dichiarazione all’Agenzia (comma 4-bis). A questo punto sarebbe opportuno eliminare il comma 3, in quanto l’ipotesi di illecito è già compresa nel 4-bis: se non c’è la dichiarazione di intento sarà impossibile riscontrarne l’avvenuta presentazione telematica.
L’attenzione normativa per questi acquisti senza Iva ha un retropensiero analogo a quello che guida il tema degli acquisti intraunionali: il cliente che non paga l’Iva al suo fornitore potrebbe essere l’innesco di una frode carosello o del venditore scomparso, che rivende i beni con Iva non versandola all’Erario. Ma gli incroci della fatturazione elettronica potrebbero essere ben più rilevanti della minaccia di sanzioni.