Società, golden power verso un modello più europeo
Dopo venticinque anni di tumultuosa esistenza, il Dl 105/2019 sulla sicurezza nazionale cibernetica segna il momento di massima espansione dei poteri speciali dello Stato italiano nei settori strategici dell’economia (golden powers). Nati come «mano minacciosa del Leviathano» sulle grandi imprese privatizzate (G.Rossi), e poi sistematicamente censurati dalla Corte di giustizia Ue per violazione delle libertà comunitarie fondamentali, i golden powers tornano a brillare con le spinte protezionistiche post crisi finanziaria, sino a raggiungere il loro massimo splendore nel corso degli ultimi mesi, nel corso dei quali il nostro legislatore ha trasformato in oro, «alla stregua di Re Mida» (Ruiz-Jarabo Colomer), un numero sempre maggiore di imprese strategiche.
Con l’estensione dei poteri speciali ai settori ad alta intensità tecnologica, alle infrastrutture critiche e al 5G, la normativa italiana appare sempre più coordinata con il quadro normativo europeo (regolamento Ue 219/452). Ciò avviene in piena aderenza a una logica protezionistica armonizzata che mira a difendere gli Stati membri da operazioni ostili da parte di investitori extra-Ue. Non pare casuale che nelle nuove aree di intervento il Governo possa impedire la scalata solo di soggetti esterni all’Unione europea. Anche la prassi applicativa più recente mostra una maggiore apertura del nostro Paese, rispetto al passato, a iniziative congiunte delle grandi imprese italiane con i propri omologhi europei. L’Europa si unisce a salvaguardia delle proprie attività sensibili, in una politica protezionista che la vede protagonista, insieme agli Stati Uniti, in una gara all’affinamento di forme di vigilanza sempre più penetranti nei confronti degli acquirenti stranieri. Il Dl italiano di pochi giorni fa si innesta perfettamente in tale logica, estendendo i poteri speciali ad aree sempre più vaste, tra cui l’acqua, la salute, i media, le infrastrutture aerospaziali, elettorali, di difesa e finanziarie (ad esempio Borsa italiana).
Affinché, in ambito economico, la sovranità nazionale non si trasformi in sovranismo, è auspicabile che l’interesse pubblico protetto dai golden powers sia valutato con rigore, onde evitare di incidere in misura sproporzionata sui diritti degli operatori economici. Solo in tal modo sarà possibile bilanciare le naturali esigenze di apertura dei mercati nazionali alle consolidate dinamiche della globalizzazione finanziaria (Stiglitz) con le altrettanto legittime istanze di salvaguardia degli interessi essenziali delle singole nazioni dal rischio di politiche acquisitive aggressive e difficilmente controllabili (G.Napolitano).
Per assicurare tale equilibrio le barriere all’ingresso dovrebbero tener conto dei vincoli che gli operatori domestici incontrano in uscita, secondo la tradizionale regola della reciprocità. Inoltre, gli acquirenti stranieri dovrebbero agire secondo logiche prettamente imprenditoriali – e dunque in leale e trasparente concorrenza con gli altri operatori – e non a servizio di forze politiche o in rappresentanza di interessi pubblici stranieri.
Per far fronte a tale eventualità è da valutare con attenzione l’opportunità di adottare impegni internazionali multilaterali in forza dei quali gli acquirenti di imprese strategiche estere, i quali siano soggetti alla sfera di influenza pubblica, possano operare in altri ordinamenti senza eccessive preclusioni ove dimostrino la sussistenza di requisiti organizzativi e di governance tali da presidiare la propria sana e prudente gestione e indipendenza decisionale (Gordon e Milhaupt).
L’autore è professore ordinario di diritto dell’economia all’Uninettuno di Roma