Controlli e liti

Stop alla doppia imputazione della dispersione di beni o merci preesistenti

di Romina Morrone

Stop all’imputazione per l’annualità accertata (in assenza di dichiarazione dei redditi) sia come ricavi non contabilizzati che come costi del valore delle rimanenze dell’anno precedente non rinvenute, così considerando due volte e nella stessa misura, ma in direzioni opposte, lo stesso elemento fattuale (e cioè la dispersione di beni o merci preesistenti), suscettibile invece di dar luogo a un solo argomento inferenziale (e cioè la cessione dei beni al prezzo di costo e dunque l’esistenza di ricavi corrispondenti). Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 1506/2017 .

La vicenda
Con avviso di accertamento per l’anno 1992, l’ufficio ha determinato il maggior reddito di impresa nei confronti di un contribuente, poi fallito, che aveva omesso di presentare la dichiarazione. Mentre i giudici di primo grado hanno accolto il ricorso della curatela, la Commissione regionale ha riformato la sentenza impugnata, precisando, in particolare, che il maggior reddito imponibile accertato ai fini delle imposte dirette risultava pari a zero. Ciò in quanto, se da un alto le rimanenze non rinvenute autorizzavano la presunzione di corrispettivi evasi per un eguale importo, dall’altro occorreva sottrarre ai ricavi così determinati i costi sostenuti da ritenere anch’essi di importo pari alle rimanenze non ritrovate. L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione lamentando (anche) che il giudice di appello non aveva indicato sulla base di quali elementi aveva operato tale contrapposizione, pervenendo a conclusioni illogiche, visto che la merce ceduta in evasione d’imposta nel 1992 corrispondeva a quella in giacenza nel 1991 e, quindi, che i relativi costi dovevano essere stati già contabilizzati e dedotti. La Corte ha accolto il ricorso.

La sentenza
I giudici di legittimità hanno ritenuto non condivisibile la parificazione tra costi e valore delle rimanenze finali compiuta dalla Ctr. In tal modo, infatti, il giudice di appello aveva fatto malgoverno del principio di continuità dei valori di bilancio (articoli 59 e 76 del Tuir), sulla base del quale le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito d’esercizio, sempre che risultino correttamente indicate in contabilità e in dichiarazione.
Nella fattispecie al suo esame, la Cassazione ha rilevato che se da un alto la Ctr aveva correttamente qualificato, come ricavi, le rimanenze non rinvenute (sulla base della loro presunta cessione), dall’altro, però, aveva errato nel sottrarre tale valore quale componente negativo del reddito. Tale operazione, infatti, non poteva essere permessa al contribuente perché l’omessa dichiarazione dei redditi nell’anno di riferimento aveva interrotto la continuità fiscale dei valori di bilancio, non consentendo di collocare correttamente nel tempo il costo di acquisizione della merce e, quindi, di cessione o utilizzo ai fini della produzione del reddito.

Cassazione, sentenza 1506/2017

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©