Controlli e liti

Stop al ricorso che non chiama in giudizio le Entrate

di Antonio Zappi

È inammissibile un ricorso con il quale la parte ricorrente, per omessa notifica dell’atto presupposto, impugna un’intimazione di pagamento derivante da un accertamento definitivo, ma non “chiama” in giudizio le Entrate. Sono queste le conclusioni a cui è giunta la Ctp di Roma con la sentenza 10195/20/18 ( clicca qui per consultarla ).

La pronuncia trae origine dalla circostanza che l’Agente della riscossione, nel costituirsi in giudizio, dichiarava il proprio difetto di legittimazione passiva in merito alla validità e regolarità degli atti impugnati, chiedendo, quindi, di dichiarare l’inammissibilità del ricorso per l’omessa chiamata in giudizio dell’Ente impositore indicato nell’estratto di ruolo. Alla luce di ciò, i giudici capitolini, acclarato che il ricorso non risultava notificato alle Entrate, ne hanno decretato l’inammissibilità per violazione del principio del contraddittorio, ex articolo 22 del Dlgs 546/1992.

Il pronunciamento si discosta dall’orientamento di legittimità (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 16412/2007). La Suprema Corte, infatti, non fece derivare irrimediabili conseguenze da errori di individuazione della controparte nel processo (tra ente impositore e/o agente della riscossione) e, nello specifico, il collegio di legittimità ritenne che il contribuente, nel contestare un atto consequenziale alla pretesa tributaria, potesse notificare anche alla sola Equitalia l’impugnazione dell’omessa notifica di un atto presupposto azionato nei suoi confronti dalle Entrate.

Diversamente, invece, i giudici romani hanno sanzionato il ricorso con una declaratoria di inammissibilità e determinato effetti irreversibili sulla pretesa tributaria, proprio perché il contribuente non ha convenuto in giudizio l’ente impositore competente sul tributo di specie, Con ciò desumendosi che il contribuente, per i primi giudici, avrebbe dovuto notificare il ricorso ad entrambi i soggetti e che, per scongiurare l’inammissibilità derivante dalla notifica al solo agente della riscossione, non soccorre l’articolo 39 del Dlgs 112/1999 al quale, in atti, non si fa alcun cenno.

Sul punto, però, se è vero che nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, a meno che non sia una legge a prevederlo (articolo 81 del Codice di procedura civile), ma poiché i rapporti tra i due enti sono regolati dall’articolo 39 del Dlgs 112/1999, la legittimazione passiva straordinaria dell’agente della riscossione sembrerebbe rinvenibile proprio in ragione del disposto di detta norma, laddove si afferma che quest’ultimo, nelle liti promosse contro di esso che non riguardano solo la regolarità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato, in quanto, in difetto, risponderebbe delle conseguenze della lite.

Va evidenziato che sempre con pronunciamento di legittimità è stato ancora affermato che anche qualora il contribuente abbia individuato nell’agente della riscossione, e non nell’ente impositore, il legittimato passivo nei cui confronti dirigere l’impugnazione, non si determina l’inammissibilità della domanda (ex plurimis, Cassazione 97/2015), ma questo può comportare solo la chiamata in causa dell’ente creditore per fargli valutare un eventuale interesse alla resistenza in giudizio.

Ctp Roma, sentenza 10195/20/2018

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