Sull’Ace scelte poco lungimiranti nella prospettiva della crescita
Il tema della sottocapitalizzazione delle imprese non è solo di natura fiscale: quelle correttamente dotate di mezzi propri hanno superato i molti anni di crisi economica e sono pronte a decollare se anche i fondamentali dell’economia faranno altrettanto. In altri termini un’azienda solida deve essere anche liquida.
Dal punto di vista fiscale si è passati dalla più completa liberalizzazione nella deduzione degli oneri finanziari a misure che agiscono su due fronti: la limitazione nella rilevanza degli interessi passivi e, ancor meglio, l’incentivazione alla capitalizzazione delle imprese, concedendo la deduzione dell’interesse nozionale sul capitale proprio o, come avvenuto dai tempi della Dit (Dual income tax) di vent’anni fa, sull’incremento dei mezzi propri a decorrere dall’entrata in vigore della norma agevolativa.
Quella ora in atto è nota come Ace, che la legge istitutiva qualifica impropriamente come Aiuto alla crescita economica ma che esiste a livello internazionale come Allowance for capital equity, cioè come variazione in diminuzione dal reddito in funzione del capitale.
In merito alla misurazione della base imponibile, sono due gli interventi restrittivi a distanza di pochi mesi. Prima la legge di bilancio 2017 e ora la manovrina correttiva approvata nel Consiglio dei ministri di martedì 11 aprile. A partire dall’esercizio 2017 - anche se con effetto già per gli acconti da versare a giugno e novembre di quest’anno - la deduzione Ace dovrà essere calcolata sugli incrementi patrimoniali (utili a riserva e conferimenti in denaro) effettuati a partire dal quinto anno precedente, e non più dal 1° gennaio 2011. Anche per le società di persone e le imprese individuali, cambia la disciplina introdotta dalla legge di Bilancio 2017: dal prossimo anno la base Ace non è più costituita dalla totalità del patrimonio, ma solo dagli incrementi, che vanno a scalare di anno in anno fino al 2019.
L’altra innovazione (quella della legge di Bilancio) è invece di natura generalizzata e disincentivante, in quanto riduce la variazione in diminuzione calcolata sull’incremento patrimoniale progressivo dal 4,75% del 2016 al 2,3%, cioè a meno della metà. Oltre a tutto la tecnica normativa non è il massimo, in quanto questa aliquota è dettata non a partire dall’anno cui si riferisce la legge di bilancio, ma solo per il 2017, mentre si afferma che dal 2018 questa percentuale salirà al 2,7%, pur essendo di tutta evidenza che questa aliquota deve essere confermata dalla legge di bilancio per quest’anno e da quelle degli anni successivi.
Risulta evidente che il dimezzamento dell’aliquota Ace attenua lo stimolo al sostenimento di nuovi investimenti con un significativo apporto di mezzi propri, e compromette le decisioni della pianificazione aziendale dal 2010, che era stata formulata con l’affidamento delle aliquote crescenti per questo modo di calcolare un elemento fondamentale nella strategia finanziaria delle imprese.
E in quest’ultima prospettiva il legislatore deve rendersi conto che il calcolo del tax rate delle imprese italiane richiede una stabilizzazione che, nel caso di specie, comporterà un aumento del carico fiscale per chi aveva correttamente capitalizzato la propria azienda, aumento che può aver controbilanciato e anche superato la riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5% al 24 per cento. Sin dal 1988 l’allora comunità economica europea si era posta il problema dell’inutilità di confrontare le aliquote fiscali (tax rate) senza tener conto della base imponibile (tax base) e del conseguente carico tributario (tax burden).