Transfer pricing, la controllata può essere ritenuta «indipendente»
Nell’ambito del transfer pricing, l’amministrazione finanziaria non può escludere dal novero dei soggetti «indipendenti» una società posseduta con quota di minoranza, laddove non sussistano altri elementi atti ad identificare un’influenza economica intercompany. È questa l’interessante conclusione cui perviene la Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sentenza 2826/15/2017 (depositata lo scorso 11 aprile).
La vicenda
Nel caso di specie, una società italiana aveva deciso di inserire, tra i soggetti indipendenti (considerati ai fini della metodologia «CUP interno») una società da quest’ultima posseduta con una quota di minoranza, pari al 20%. L’ufficio aveva escluso dal calcolo la società collegata, esclusivamente in virtù di tale rapporto partecipativo.
I giudici, dopo aver brevemente ripercorso le sentenze della Corte di cassazione che definiscono il transfer pricing quale norma antielusiva, arrivando a confermare l’onere della prova – in prima battuta – sull’amministrazione finanziaria, si sono soffermati sul concetto di indipendenza quale “base” per stabilire se l’ufficio, nell’espletamento del proprio onere probatorio, avesse correttamente applicato le disposizioni normative per escludere la società partecipata dalla metodologia applicata.
L’«influenza economica»
La Commissione, in tale percorso logico, ha deciso di partire definendo il concetto di «influenza economica» nell’ambito della disciplina sul transfer pricing, lavorando poi “per differenza” (ovvero, considerando come indipendenti le società non influenzabili economicamente).
A tal fine, i giudici hanno richiamato i dettami della nota circolare n. 32/80, che estende il concetto civilistico di controllo a ogni ipotesi di influenza economica, potenziale o attuale, desumibile da varie circostanze, quali (citando alcuni esempi tratti dalla medesima circolare): vendita esclusiva di prodotti fabbricati dall’altra impresa; membri comuni nel consiglio di amministrazione; controllo di approvvigionamento e sbocchi ecc.
L’influenza economica, in sintesi, deve trarsi da elementi concreti, non bastando il mero rapporto partecipativo. Su tale fronte, vale richiamare la Corte di cassazione la quale, recentemente, ha considerato non indipendenti due società, collegate al 24% del capitale sociale, in quanto la partecipante aveva il diritto, contrattualmente definito, di provvedere in esclusiva alla commercializzazione dei prodotti della partecipata (sentenza n. 8130/2016).
Nel caso qui trattato, la società che l’ufficio aveva escluso dal CUP interno, oltre ad essere posseduta dalla contribuente accertata per il solo 20%, è risultata essere controllata da terzi completamente estranei alla contribuente stessa. Né – a quanto è dato comprendere dalla lettura della sentenza – sussistevano tra le due società accordi contrattuali particolarmente vincolanti.
La sentenza
I giudici milanesi hanno quindi convenuto che «nessuna prova di controllo, nessuna analisi e nessun calcolo è stato in tal senso eseguito dall’ufficio, cui fa capo l’onere di provare e motivare i rilievi eseguiti.
Risulta pertanto non accettabile la scelta degli accertatori di escludere dal novero delle operazioni concluse con controparti indipendenti le compravendite effettuate la ricorrente con la suddetta società».
Il concetto secondo cui una partecipazione di minoranza non esclude di per sé l’indipendenza è da tempo accettato anche dal punto di vista operativo: l’«Aida», noto database utilizzato per il transfer pricing, definisce con codice di massima indipendenza le società aventi rapporto partecipativo inferiore al 25%.
Il quadro normativo
La sentenza risulta interessante perché si inserisce in un contesto caratterizzato da un recente cambiamento normativo: il Dl 50/2017 ha modificato l’articolo 110, comma 7, del Tuir, al fine di adeguare la normativa domestica in materia di transfer pricing agli standard internazionali, ridefinendo – almeno formalmente – il concetto di «indipendenza».
Ctp Milano, sentenza 2826/15/2017