Troppe discrepanze non giustificate tra liti pendenti e rottamazione delle cartelle
La conversione del Dl n. 50/2017 , almeno con riferimento alla definizione delle liti pendenti, riserva poche novità e ancor meno sorprese. Il testo del decreto rimane infatti sostanzialmente immutato, a parte alcune marginali integrazioni (viene ampliato l’ambito di applicazione della definizione, sul piano soggettivo alle controversie con gli enti territoriali e, su quello temporale, ai ricorsi notificati entro la data di entrata in vigore del decreto), che tuttavia non sembrano risolvere i molti dubbi che il regime ha fin da subito sollevato.
Resta, innanzitutto, il disallineamento rispetto alla rottamazione dei ruoli, di cui al Dl n. 196/2016. Ad esempio in riferimento alla rateazione, posto che la definizione delle liti prevede tre rate a fronte delle cinque contemplate per la rottamazione dei ruoli. Vi è poi la patente divergenza di trattamento rispetto ai provvedimenti sanzionatori, dove il costo della definizione è nullo nel caso della rottamazione, mentre per le liti pendenti resta dovuta una somma pari al 40% degli importi in contestazione. Insomma, vi sono una serie di disparità di trattamento tra i due regimi che, considerata la sostanziale identità di finalità ed obiettivi, difficilmente si giustificano.
Vi sono poi criticità di ordine tecnico, che erano state denunciate rispetto al decreto ma che sono rimaste inascoltate in sede di conversione. Ad esempio, continua a non essere chiara la sorte delle somme eventualmente già corrisposte a titolo di sanzioni. Nella rottamazione dei ruoli, difatti, è detto espressamente che queste non possono essere considerate (e quindi che vanno perse), sicché il silenzio mantenuto al riguardo in tema di definizione delle liti induce a ritenere che, di contro, queste somme debbano essere imputate nel conteggio del saldo che residua da pagare; vero è, del resto, che nella definizione delle liti vi possono essere casi in cui vanno pagate somme a titolo di sanzione, come quando oggetto di definizione sono provvedimenti di sole sanzioni. È evidente che un chiarimento sul punto si rende necessario per consentire una ponderata valutazione circa l’appetibilità o meno della definizione delle liti.
Altro dubbio tecnico attiene agli effetti della definizione nei confronti dei coobbligati, che la norma estende espressamente a favore anche di coloro per i quali la controversia non è più pendente all’atto della definizione, facendo salva solo la preclusione data dalle pronunce passate in giudicato prima dell’entrata in vigore del decreto: sembrerebbe, allora, che la definizione possa essere opposta a fronte di sentenze passate in giudicato dopo l’approvazione del decreto, il che, evidentemente, crea una evidente distonia nel sistema.
Piuttosto, va rilevato che la disciplina prevede la sospensione dei giudizi ma non anche quella della riscossione (diversamente dalla rottamazione dei ruoli); è chiaro però che, pagando la prima rata che perfeziona l’adesione, la riscossione viene a cadere completamente (non resta semplicemente sospesa), dal momento che il credito, che del caso resta da riscuotere, cambia per entità e titolo: ciò significa che vanno cancellate le ipoteche e liberati i beni pignorati. Il problema è che la definizione potrebbe essere in futuro rifiutata (provvedimento di diniego), nel qual caso il credito originario dovrebbe tornare potenzialmente in riscossione, la quale però deve ripartire da zero. Va detto, in effetti, che la disciplina, per come risulta infine congegnata si presta sotto molteplici aspetti ad un uso potenzialmente distorto, che potrebbe generare non poche criticità e, soprattutto, un corposo contenzioso; tutto questo, in patente contraddizione con le finalità della disciplina stessa.







