Trust, imposte indirette solo con l’effettivo trasferimento al beneficiario
Nel trust, il presupposto dell’imposta, l’effettivo arricchimento del beneficiario finale, si identifica con il momento in cui quest’ultimo ottiene la libera e piena disponibilità dei beni conferiti in trust.
La tesi, maggioritaria in dottrina, nella giurisprudenza di merito e nella più recente interpretazione della Corte di Cassazione, si scontra con la risalente prassi dell’amministrazione finanziaria (risoluzione 110/E/2009, circolare 48/E del 2007 e circolare 3/E/2008 dell’agenzia delle Entrate) e con la proposta di legge presentata alla Camera dei deputati il 3 ottobre 2017 «Disciplina dell’applicazione delle imposte indirette ai trust».
Il testo al vaglio della commissione Finanze, pur avendo colto la necessità di superare la prassi amministrativa di applicare l’imposta sulle successioni e sulle donazioni anche ai trust a carattere c.d. oneroso (trust non liberale) e avendo aderito alla tesi dell’unitarietà causale del negozio, codifica un prelievo il cui presupposto impositivo si identifica con la mera apposizione di un vincolo ai diritti del proprietario e si traduce, in sostanza, in una sorta di imposta sull’impoverimento.
Non solo, infatti, l’articolo 6 della proposta di legge prevede che, prescindendo da un reale arricchimento patrimoniale, l’atto di dotazione dei trust liberali «è assoggettato all’imposta sulle successioni e sulle donazioni» ma stabilisce anche che, sempre ai fini delle imposte sulle successioni e donazioni, il successivo atto di trasferimento è fiscalmente irrilevante persino nel caso di «eventuali variazioni in aumento o in diminuzione del valore del fondo in trust» (cfr. combinato disposto degli articoli 6 e 8 della proposta di legge). Il contrasto tra le rammentate disposizioni di legge e il principio di capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione è evidente.
Ai dubbi sulla legittimità costituzionale del prelievo si sommano le criticità emerse nelle aule giudiziarie dove l’approccio ermeneutico tradizionale rievocato dalla proposta di legge, più di recente, è stato abbandonato dalla giurisprudenza sia di merito sia di legittimità.
Nel solco del noto precedente del 2016, ove si era negato che la dotazione del trust potesse manifestare capacità contributiva, la Corte di Cassazione con la sentenza 975/2018 ha precisato che «l’atto di trust va considerato non immediatamente produttivo di effetti traslativi in senso proprio, dal momento che sono tali quelli finali costituenti il presupposto dell’imposta di registro, prima mancando l’elemento fondamentale dell’attribuzione definitiva dei beni al soggetto beneficiario».
Anche le Commissioni tributarie hanno sovente escluso che l’atto di dotazione del trust dia luogo a un trasferimento imponibile, assoggettabile all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale (in questo senso, si sono espresse le sentenze Ctp Treviso 310/2017; Ctr Lombardia 89/2018, Ctr Sardegna 263/2018, Ctp Bari 626/2018).
Onde evitare il proliferare di una giurisprudenza creativa, foriera di disuguaglianze nell’applicazione della legge, è auspicabile che, recuperando i tratti positivi della proposta di legge (la distinzione tra trust liberali e non liberali, l’unitarietà causale del negozio) e gli esiti della più recente riflessione sul presupposto d’imposta, il legislatore fiscale chiarisca, una volta per tutte, quali sono gli elementi costitutivi del tributo.
Per approfondire leggi l’articolo di Giulia Orazzini, in Norme&Tributi Mese 6/2018, pag. 84