Un sistema fiscale da ricostruire partendo dai fondamentali
Sarà la volta buona? Oppure sarà l’ennesimo ballon d’essai che non andrà da nessuna parte? L’ennesimo “ritenta, sarai più fortunato”, come è sempre successo negli ultimi 30 anni. Ma tant’è. Lega e M5s vogliono rilanciare le semplificazioni fiscali. Non è un mistero che il nostro Paese primeggi nelle classifiche mondali per livello di tasse e imposte, ma anche per costi della burocrazia fiscale. Quindi, bene le semplificazioni.
Peccato che, per ironia della sorte, la maggioranza torni a occuparsi di semplificazioni nel giorno in cui la proroga a fine aprile di spesometro ed esterometro, in scadenza domani, rimane appesa agli annunci – certamente autorevoli – del sottosegretario Massimo Bitonci. Per il Dpcm bisognerà aspettare ancora. Una piccola coincidenza che racconta in modo chiaro come parlare (e promettere) semplificazioni sia sempre piuttosto scivoloso.
Lo vediamo bene in queste settimane, tra adempimenti vecchi e nuovi. Le ferite del debutto della fatturazione elettronica non sono ancora rimarginate e, anzi, molti sono ancora alle prese con grandi difficoltà, di volta in volta per le complicazioni normative (anche a causa dell’assenza di un “definitivo” documento di prassi), oppure per i software non perfettamente tarati, oppure ancora per una rete internet non ovunque adeguata. Le difficoltà sulla fattura, poi, si aggiungono alle “normali” scadenze e criticità: certificazioni uniche, bilanci, lettere di compliance e via via fino alle dichiarazioni che tra non molto impegneranno tutti.
Quel che accade in questi giorni, si dirà, non è diverso da quello che accade ogni anno: ora è la fattura elettronica a disturbare, prima era stato lo spesometro. Il che è vero. E ci conferma come il nostro sistema tributario sia alle corde non solo sui suoi principi fondanti (non scordiamo che il fisco attuale resta figlio di una riforma pensata nella metà degli anni ’60). Ma che si trova in crisi profonda anche nei suoi meccanismi operativi, sugli adempimenti, sulle scadenze, nel suo rapporto con i contribuenti-operatori. Dove la telematica, certamente utilissima, ha però finito per rendere ancor più gravoso il lavoro dei professionisti. Non è un caso che i commercialisti parlino sempre più spesso di “corvée fiscali” descrivendo le loro attività come intermediari del fisco e che proprio in questi giorni pensino a una protesta clamorosa come lo sciopero per manifestare il loro disagio diffuso (peraltro non limitato alla componente degli adempimenti fiscali).
Ben venga allora questa nuova spinta alle semplificazioni. Fare un buon lavoro è complesso ma non impossibile. In Parlamento, ci sono gli atti delle audizioni di associazioni, categorie professionali e istituzioni che già in autunno hanno indicato puntualmente le criticità e i rimedi più urgenti. Si riparta da lì. Nella consapevolezza che semplificare il fisco significa tante cose. Significa ridurre l’impatto e i costi della burocrazia fiscale. Significa non ignorare lo Statuto dei diritti del contribuente. Significa non pretendere adempimenti a ripetizione, specie con la richiesta di dati inutili o già a disposizione. Significa scrivere le norme fiscali in modo lineare e comprensibile, senza che per applicarle servano altre norme di interpretazioni o circolari dell’amministrazione. Ma, più in generale, semplificazione significa rispettare i contribuenti, consentire loro di muoversi in un quadro normativo chiaro e definito. Dove la “certezza del diritto” – e, va detto, mai principio fu così maltrattato, umiliato e disatteso come avviene nell’ambito tributario – comincia dalle regole fondamentali. Come, a esempio, il fatto che le proroghe non si annunciano, ma si fanno. Predisponendo per tempo i provvedimenti normativi necessari e pubblicandoli, quando richiesto, sulla Gazzetta Ufficiale.