Una sanatoria che prepara il terreno a nuovi condoni
La cosiddetta pace fiscale rappresenta un po’ una sorta di ossimoro e un po' un miraggio (come dimostra il grafico in basso).
Il grafico indica, peraltro, il percorso - davvero molto tortuoso - che il contribuente deve compiere limitatamente a (solo) due delle definizioni agevolate. Così che ne derivano, immediate, una serie di considerazioni.
La prima è che il sistema tributario italiano è talmente tanto complicato alla radice che, anche quando si vuole fare “pace”, questa si rivela un autentico ginepraio, che poi rischia di alimentare un contenzioso da condoni, già più volte originatosi con le sanatorie del passato. La conferma viene proprio dalle indicazioni delle Entrate dei giorni scorsi, riportate su queste pagine, che non risultano affatto in linea né con il dettato normativo né con la logica, finendo per escludere chi, in realtà, avrebbe pieno titolo per avvalersi della definizione agevolata. Il riferimento, in questo caso, è alle istanze di adesione e ai ricorsi presentati dal 25 ottobre scorso che, secondo le Entrate, risulterebbero ostativi alla definizione agevolata dell’articolo 2 del Dl 119 relativa agli atti di accertamento). E questo, paradossalmente, va contro gli stessi interessi erariali – volti ad ammettere alle sanatorie più soggetti possibile, visto che oramai le sanatorie ci sono - oltre che degli stessi contribuenti che avrebbero i titoli per avvalersene. Si tratta di una “piega” della fiscalità italiana che non è propria soltanto delle sanatorie, ma del sistema tributario in generale: è il fenomeno della cosiddetta «supremazia della prassi», la quale non persegue un obiettivo in particolare, se non quello di affermare la propria, di supremazia.
In sostanza, si è in presenza di un sistema alla radice complicatissimo che risulta funzionale al potere della tecnocrazia, così che questo connubio tra complicazione e tecnocrazia alimenta un vero e proprio labirinto fiscale, come già solo si può comprendere dal grafico riportato in pagina, seppure riguardante una particella davvero minima delle questioni tributarie.
Di conseguenza occorre chiedersi se ha senso prevedere una pace fiscale (o condono o sanatoria che dir si voglia) per poi continuare, come se nulla fosse, una volta spirati i termini per queste nuove definizioni, con un sistema fiscale intricatissimo che, come tale, non può che alimentare, a cadenze cicliche, altre sanatorie o richieste di pacificazione.
Altre volte, in passato, i condoni sono stati giustificati dalla volontà – almeno nelle intenzioni – di riformare anche solamente determinate “branche” del diritto tributario (ad esempio, il contenzioso).
Questa volta, invece, non è accaduto nulla di tutto questo, se non adombrare che le sanatorie hanno come giustificazione quella di fare pagare con quello che si ha ciò che si è dichiarato ma non si è potuto (a suo tempo) pagare. Giustificazione che, per ora, peraltro, non è presente in alcun testo di legge.
Forse è scontato, ma l’augurio è che, dopo questa provvisoria pace, si abbia per davvero (e non con disposizioni di facciata) il coraggio di riformare a 360 gradi il sistema fiscale italiano.
Con un sistema tributario fondato realmente su semplificazione e certezza della pena, non ci sarebbero né appigli per la tecnocrazia né ci sarebbe bisogno di “pacificazione fiscale”.