Controlli e liti

Voluntary frenata dall’autoliquidazione

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di Antonio Longo e Antonio Tomassini

Sono almeno quattro le ragioni per cui la voluntary bis non trova slancio e mette a rischio l’incasso degli 1,6 miliardi stimati dal Governo.

In primo luogo, la complessità della (seppur facoltativa) procedura di autoliquidazione degli oneri della regolarizzazione. L’agenzia delle Entrate avrà, infatti, solo un ruolo di eventuale controllo a posteriori, nel qual caso errori da parte degli aderenti saranno sanzionati in maniera non trascurabile, a meno che non si accordi una esimente nei casi di incertezza interpretativa. Si spostano di fatto tutte le responsabilità sui contribuenti e sui professionisti, a favore delle casse erariali in termini di tempistica, ma a discapito, verosimilmente, di un sano contraddittorio con gli uffici. E ciò in un contesto in cui si è anche persa l’occasione di chiarire tutti gli aspetti più problematici della prima procedura, come la possibilità di scomputare i crediti per imposte estere o la tassazione dei dividendi in capo a soci persone fisiche al netto o al lordo delle imposte pagate dalla società in caso di voluntary internazionale abbinata a quella nazionale.

In secondo luogo, rimangono dubbie le modalità di determinazione delle sanzioni per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale. Nella procedura di autoliquidazione sembrerebbe esservi una apertura circa la possibilità di definire con minori oneri queste sanzioni in virtù dell’applicazione del cosiddetto cumulo giuridico, ovvero sulla base di un carico sanzionatorio parametrato sulla violazione più grave negli anni oggetto di regolarizzazione e non sulla sommatoria delle sanzioni minime applicabili anno per anno (si vada «Il Sole 24 Ore» di lunedì 27 febbraio ).

Sempre pensando al profilo sanzionatorio (e invero anche al numero dei periodi di imposta da regolarizzare) un altro freno è rappresentato dall’operatività, a normativa vigente, del raddoppio di sanzioni e periodi in caso di attività detenute in Paesi che hanno concluso accordi sullo scambio di informazioni fiscali con l’Italia prima del 24 ottobre 2016 (data di entrata in vigore del Dl 193/2016), ma la cui entrata in vigore sia successiva a questa data. È il caso, tra gli altri, di Panama dove, anche a seguito dello scandalo “Panama papers”, è verosimile che si trovino ancora molti degli asset suscettibili di regolarizzazione. Qui si potrebbe pensare a una modifica normativa che faccia appunto riferimento, come data “spartiacque” per la concessione dei benefici premiali massimi, a quella di “conclusione” degli accordi e non già a quella della “entrata in vigore” (come avvenuto nella prima Vd per la Svizzera).

In terzo luogo, è evidente che l’attuale procedura di regolarizzazione domestica dei contanti, che si stimano in oltre 100 miliardi di euro, non funziona, anche alla luce delle esperienze della prima disclosure. Occorreva pensare a un forfetizzazione degli imponibili (non delle imposte) e prevedere, ad esempio, un periodo di “deposito” delle somme presso una fiduciaria iscritta al registro di cui al 106 del Testo unico bancario anche successivamente al termine della procedura, con finalità di adeguata verifica e monitoraggio; si potevano inoltre prevedere agevolazioni in caso di destinazione temporanea dei fondi ad opere di interesse pubblico (tipo social bond) o pensare a una super Ace per chi avesse reinvestito i soldi regolarizzati in iniziative imprenditoriali. De minimis, con la norma nella sua attuale versione che ha introdotto una presunzione di imponibilità integrale dei contanti salvo fornire una (oscura) prova contraria, l’auspicio è che, quanto meno in sede di attuazione, si definisca tale regime probatorio, conferendo maggiore dignità giuridica alla dichiarazione sostitutiva e ad alcuni indicatori fondati sull’id quod plerumque accidit, quali la professione del contribuente (o il fatto che sia in pensione), l’”anzianità” della sua attività o la presenza di lasciti.

Infine, manca un elemento cardine della prima disclosure, ovvero una maggiore collaborazione delle istituzioni finanziarie estere. Occorrerà in questo senso capire se le recenti iniziative dell’agenzia delle Entrate, come il Provvedimento di ieri sulle modalità di acquisizione dei dati dei richiedenti l’iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) al fine della formazione di liste selettive per futuri controlli fiscali, e la volontà di implementare le procedure di scambio di informazioni con le amministrazioni fiscali estere riusciranno a colmare il vulnus di collaborazione.

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