Regime per cassa, nei registri Iva il comune della sede legale della controparte
L’articolo 18, comma 4 del Dpr 600/1973 prevede la possibilità di sostituire i registri cronologici degli incassi e dei pagamenti, con i libri obbligatori ai fini della liquidazione dell’Iva (fatture, acquisti e dei corrispettivi). La norma dispone inoltre che «in luogo delle singole annotazioni relative a incassi e pagamenti, nell’ipotesi in cui l’incasso o il pagamento non sia avvenuto nell’anno di registrazione, nei registri deve essere riportato l’importo complessivo dei mancati incassi o pagamenti con indicazione delle fatture cui le operazioni si riferiscono».
La semplificazione è rilevante in quanto il contribuente non dovrà integrare i registri Iva con l’indicazione delle date di incasso e di pagamento ogni volta che tali circostanze si saranno verificate nel medesimo periodo d’imposta di registrazione ai fini Iva.
La possibilità di fruire di tale semplificazione è subordinata anche a un’ulteriore condizione. I registri Iva si considerano utilizzabili anche ai fini della determinazione del reddito d’impresa «qualora vi siano iscritte separate annotazioni delle operazioni non soggette a registrazione ai fini della suddetta imposta». Ad esempio, nel caso in cui siano registrati i costi relativi al personale dipendente o i redditi assimilati al lavoro dipendente qualora l’imprenditore si sia avvalso di collaboratori, eccetera. L’annotazione contabile dovrà essere effettuata entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di riferimento e non è richiesta alcuna formalità specifica con riferimento alle informazioni anagrafiche del soggetto che effettua o riceve il pagamento.
Per quanto concerne il secondo quesito, riguardante l’identificazione «comune di residenza anagrafica», nell’ipotesi in cui la controparte sia una persona giuridica occorre, in via generale, fare riferimento al comune in cui si trova la sede legale.
Uno dei problemi che l’applicazione del nuovo principio di cassa pone riguarda gli incassi e i pagamenti «parziali». La soluzione potrebbe essere analoga a quella prevista per il regime Iva di cassa. L’interpretazione trae origine dal decreto ministeriale di attuazione dell’11 ottobre 2012. A questo proposito l’articolo 4, comma 5 del citato decreto prevede che «nel caso in cui sia effettuato un incasso parziale del corrispettivo, l’imposta diventa esigibile ed è computata nella liquidazione periodica nella proporzione esistente fra la somma incassata ed il corrispettivo complessivo dell’operazione».
L’articolo 66 del Tuir, in vigore nel testo novellato dal 1° gennaio 2017, non richiede l’approvazione di ulteriori disposizioni di attuazione. Tuttavia, è probabile che l’agenzia delle Entrate si orienti fornendo la medesima soluzione già applicata per l’Iva di «cassa», che sembra essere la più ragionevole. Una soluzione diversa, infatti, attribuirebbe ai contribuenti la facoltà di imputare diversamente la quota di corrispettivo incassato con l’intento di differire da un esercizio ad un altro, secondo criteri arbitrari, una parte dei ricavi. Viceversa, l’applicazione del criterio proporzionale, è idonea a contrastare comportamenti e prassi illecite.
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