Transfer pricing, la rettifica del Fisco prova lo scostamento dal valore normale
L’ordinanza 230/2021 della Cassazione: l’antieconomicità o il risparmio di imposta non sono elementi sufficienti per fondare l’accertamento
Nel trasfer pricing l’antieconomicità o il risparmio di imposta non sono elementi sufficienti per fondare l’accertamento: occorre infatti che l’ufficio provi lo scostamento del prezzo rispetto al valore normale. Il contribuente è poi tenuto a dimostrare la “normalità” delle condizioni economiche concordate. Ad affermarlo è la Cassazione con l’ordinanza 230/2021.
La vicenda trae origine dalla contestazione dell’Agenzia di alcuni costi di marketing, partecipazione a fiere estere, promozione aziendale e pubblicità sostenuti e dedotti da una società controllante anche nell’interesse delle partecipate estere.
L’Agenzia, contestando la violazione dei prezzi di trasferimento, recuperava tali costi nel presupposto che fossero privi di una valida giustificazione economica e avessero in concreto consentito un cospicuo risparmio di imposta. Infatti, poiché anche le società estere avevano beneficiato dei servizi acquistati dalla controllante nazionale, avrebbero dovuto partecipare al relativo costo.
La società impugnava il provvedimento ed entrambi i giudizi di merito confermavano l’illegittimità della pretesa. L’Ufficio ricorreva così in Cassazione lamentando, sul punto, un’errata applicazione della norma.
I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato che la contestazione del trasfer pricing introduce una presunzione secondo la quale i componenti di reddito con società estere controllate da un ente residente, sono valutati in base al valore normale. La definizione di valore normale (articolo 9 del Tuir) va individuata nel prezzo praticato per analoghi beni o servizi, in regime di libera concorrenza e nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti.
In proposito, la Cassazione ha precisato che in caso di operazioni infragruppo, l’Ufficio deve provare l’esistenza dell’operazione stessa, della pattuizione di un corrispettivo inferiore e lo scostamento di tale valore rispetto ai normali prezzi di mercato.
In tale contesto, non è necessario che l’Amministrazione finanziaria fornisca la prova che l’operazione sia priva di una valida giustificazione o abbia comportato un risparmio di imposta. Si tratta, infatti, di presupposti della diversa fattispecie dell’abuso del diritto.
La Suprema corte ha così concluso che in mancanza della prova a carico dell’ufficio dello scostamento del prezzo rispetto alla “normalità” non ci sono i presupposti per la contestazione di trasfer pricing.
La decisione è interessante poiché riguarda una situazione che si verifica di frequente. Di prassi gli uffici contestano i prezzi infragruppo (in realtà anche relativi a società interamente nazionali) nell’unico presupposto che si tratti di operazioni asseritamente antieconomiche ovvero alla presunta esistenza di un risparmio indebito di imposte.
Secondo il principio affermato dalla Cassazione, il provvedimento così motivato è illegittimo poiché ai fini della sua validità, l’Ufficio deve provare lo scostamento del prezzo applicato dalla contribuente rispetto al valore normale.
Esemplificando, è verosimile ritenere che una prova in tal senso potrebbe essere l’indicazione nel provvedimento dei prezzi di analoghi prodotti/servizi desunti da listini prezzo, ricerche sul web, eccetera.
Dinanzi a tali prove, il contribuente è poi tenuto a dimostrare che il corrispettivo convenuto corrisponda ai normali valori economici attribuiti dal mercato. Ove invece, manchi il corrispettivo specifico, occorre dimostrare che i servizi/beni di cui le società estere hanno usufruito è stato remunerato attraverso altri accordi (ad esempio maggiorazione del prezzo del bene finito).