Giustizia fiscale: la riforma richiede la definizione liti
Entro il 15 aprile la task force interministeriale Mef-Giustizia dovrebbe presentare il disegno di legge di revisione delle liti tributarie
La riforma della giustizia tributaria (uno degli interventi prioritari individuati nel Pnrr) sembra essere alle porte. Entro il 15 aprile, infatti, nel rispetto degli impegni europei, la task force interministeriale Mef-Giustizia dovrebbe presentare il disegno di legge della riforma. I nodi da sciogliere sono molti anche se gli obiettivi paiono unanimemente condivisi: deflazione delle liti, celerità dei giudizi, certezza delle regole e qualità delle decisioni.
Ma bisogna far presto perché, per usare le parole del Pnrr, la giustizia tributaria è un «settore cruciale per l'impatto che può avere sulla fiducia degli operatori economici, anche nella prospettiva degli investimenti esteri». D'altra parte, l'attuale assetto non è in grado di assicurare del tutto compiutamente, a imprese e cittadini - il cui futuro spesso è collegato all'esito di un giudizio tributario – una sollecita definizione delle vertenze che garantisca anche la tutela più elevata possibile dei diritti sia del contribuente che dell'Erario.
Il nodo relativo ai gradi di merito sembra essere stato sciolto a favore dell'opzione che vuole la giustizia tributaria affidata a giudici professionali assunti per concorso; si tratta di una soluzione condivisibile (peraltro in linea con i molteplici disegni di legge già presentati in Parlamento) e che dovrebbe innalzare ulteriormente la “qualità” delle pronunce di merito. Pronunce che, riguardando questioni sempre più complesse e a più elevato contenuto tecnico, meriterebbero di essere trattate, in Ctp e Ctr, quantomeno quelle di maggior valore, in sezioni specializzate per materia. In ogni caso il legislatore dovrà preoccuparsi di salvaguardare le professionalità oggi esistenti, prevedendo, al contempo, un adeguato regime transitorio che confermi i magistrati tributari attualmente in servizio, mantenendo per essi l'attuale limite di età. Questo anche per non sguarnire le commissioni tributarie nell'attesa della entrata in servizio dei giudici professionali. Si garantirebbe così, allo stesso tempo, una migliore qualità e coerenza delle decisioni di merito, che più difficilmente verrebbero ribaltate in Cassazione.
Imprescindibile appare anche l'istituzione di una scuola della magistratura tributaria perché, come evidente, la professionalità non si acquisisce solo per concorso, ma va costantemente affinata e coniugata anche con il costante approfondimento delle norme sostanziali e processuali. Sicuramente, poi, sono interessanti, tanto in chiave sostanzialmente deflattiva quanto con l'obiettivo di avere pronunce maggiormente uniformi su tutto il territorio nazionale, due istituti attualmente sconosciuti al nostro ordinamento processual-tributario, emersi nella relazione finale della commissione interministeriale (Mef-Giustizia): il rinvio pregiudiziale in Cassazione e l'intervento del pubblico ministero nell'interesse della legge. Una riflessione dovrebbe essere fatta anche in relazione alle “cause minori”, ad esempio quella caratterizzate da un valore di lite fino a 5mila euro. Ecco, in questi casi, compatibilmente con i principi costituzionalmente garantiti, sarebbe possibile prevedere solo due gradi di giudizio, escludendo il ricorso in Cassazione (salvo casi assolutamente eccezionali quali, ad esempio, i motivi inerenti la giurisdizione).
Un intervento di riforma che possa dispiegare rapidi effetti, non può, però, prescindere dalla considerazione dello status quo. I numeri pubblicati da Piazza Cavour, nella relazione annuale per il 2021, sono purtroppo ancora impietosi, per quanto in lieve miglioramento rispetto al passato biennio: 47.364 sono i giudizi tributari pendenti, pari al 42,6% dei procedimenti civili totali (111.241)!
È quindi assolutamente imprescindibile realizzare un intervento deflattivo dell’enorme mole di contenzioso tributario attualmente pendente dinanzi la Corte di Cassazione. Nell’immediato un ragionevole punto di partenza, per smaltire l’arretrato, può essere rappresentato da una “nuova versione” della definizione agevolata delle liti, sulla falsariga di quella introdotta con il D.L. n. 119 del 2018. Sarebbe, in effetti, anche possibile limitare tale intervento alle sole liti pendenti in Cassazione ma, per aumentare l’appeal della definizione, è opportuno aggiungere alla eliminazione di sanzioni e interessi anche meccanismi di rateazione più lunghi, oltre che differenziati in rapporto al valore di lite (maggiore è il valore della lite più ampia è la rateazione). Per di più, nell’ambito del predetto meccanismo deflattivo, potrebbe anche prevedersi che, per i giudizi per i quali si abbiano decisioni conformi nei due gradi di merito, si determini una sorta di “estinzione automatica” del processo in Cassazione. Naturalmente, questa soluzione potrebbe adottarsi anche unicamente per giudizi il cui valore di lite è particolarmente limitato, ad esempio fino a 10.000 euro. Ciò naturalmente a condizione di rendere tale soluzione pienamente compatibile con il diritto di difesa dei contribuenti costituzionalmente garantito. L’uscita dalla crisi economica post-pandemia passa anche da istituti che sappiano rimettere in gioco il passato, attraverso la giusta considerazione del diritto vivente.
Insomma, le cose da fare non mancano anche se il tempo non è molto. Le soluzioni sono molteplici e sostanzialmente tutte valide. L’auspicio è che non difettino né la volontà politica né il coraggio di attuarla compiutamente e rapidamente. Si deve, però, partire dalla consapevolezza che la riforma del contenzioso tributario, che non può che essere anticipata da una adeguata deflazione dei giudizi già incardinati, è un punto di snodo essenziale per una ridefinizione compiuta dell’ordinamento fiscale nel suo complesso. Solo un contenzioso che funziona può garantire un rapporto più sano e più equo tra Fisco e contribuente. Una maggiore fiducia nell’effettiva capacità della giustizia di interpretare rapidamente e bene le questioni poste alla sua attenzione indurrà naturalmente, tanto i contribuenti quanto il fisco, a valutare il contenzioso come un’extrema ratio. Passa anche da qui la civiltà giuridica di un Paese.
Domenico Chindemi è Presidente di Sezione Tributaria della Corte di Cassazione
e Maurizio Leo è membro del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa