Coadiuvante anche se unito civilmente
L’iscrizione alla gestione previdenziale di artigiani e commercianti è estesa i coadiuvanti familiari che sono uniti civilmente al titolare, al pari di quanto è previsto per i coniugi.
Con la circolare 66/2017 l’Inps ha illustrato l’incidenza delle norme della legge 76/2016 in tema di unioni civili e di convivenze di fatto sulla disciplina degli obblighi previdenziali posti a carico degli esercenti attività d’impresa.
Dato che ogni norma della legislazione vigente che rechi l’espressione «coniuge» deve intendersi riferita (articolo 1, comma 20, legge 76/2016) anche ai partecipi dell’unione civile, l’Inps rammenta che lo status di coniuge rileva ai fini dell’individuazione dei soggetti che svolgono attività lavorativa in qualità di collaboratori del titolare d’impresa o, se l’impresa assume forma societaria, di uno dei titolari.
Ne sono esempio l’articolo 2, comma 2, numero 1, della legge 463/1959 (nell’ambito della gestione previdenziale degli artigiani), che indica «il coniuge» nell’estendere l’assicurazione previdenziale per gli artigiani ai «familiari coadiuvanti»; nonché l’articolo 2, comma 1, legge 613/1966 che comprende il «coniuge» tra i «familiari coadiutori» obbligati all’iscrizione alla gestione degli esercenti attività commerciali.
Pertanto, essendo i partecipi dell’unione civile equiparati ai coniugi del matrimonio ordinario, si debbono estendere le tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma anche ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile: a questo consegue che, in sede di comunicazioni di eventi che il titolare è tenuto a effettuare mediante il sistema “ComUnica”, egli può indicare come proprio collaboratore colui al quale è unito civilmente, identificandolo quale coniuge nel campo relativo al rapporto di parentela.
Quanto poi all’applicabilità all’unione civile della disciplina dell’impresa familiare, di cui all’articolo 230-bis del codice civile, dato che tale norma dispone che anche il coniuge rientra tra i familiari cui essa assicura tutela, deve intendersi che il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con tutti i conseguenti diritti e obblighi di natura fiscale e previdenziale.
Per quanto riguarda le convivenze di fatto, invece, dato che la legge 76/2016 estende al convivente alcune tutele, espressamente indicate, riservate al coniuge o ai familiari (ad esempio in materia penitenziaria, sanitaria, abitativa) ma non introduce alcuna equiparazione di status, né estende al convivente gli stessi diritti e obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore, l’Inps osserva che il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d’impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto a obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare. Pertanto le prestazioni del convivente devono essere valutare «in base alle disposizioni vigenti e alle elaborazioni giurisprudenziali, al fine di individuare la tipologia di attività lavorativa che si adatti al caso concreto».
L’Inps osserva, infine, che la legge 76/2016 ha introdotto nel codice civile il nuovo articolo 230-ter, il quale attribuisce al convivente «che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente» il diritto di «partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato». Dato che tale norma non attribuisce ai conviventi di fatto i medesimi diritti di cui beneficiano i familiari individuati nell’articolo 230-bis, l’Inps ritiene che l’eventuale attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto non abbia alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome.
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di Fabio Giordano, Comitato tecnico AssoSoftware