Imposte

Consulta: Imu, esente anche la casa dove il coniuge dimora abitualmente

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 13, comma 2, quarto periodo, del Dl 201/2011 laddove penalizza il «nucleo familiare», in contrasto con gli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione

di Francesco Machina Grifeo

«Nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile».

È quanto si legge nella sentenza n. 209 depositata giovedì 13 ottobre (relatore Luca Antonini,) con cui la Corte costituzionale (Presidente: Sciarra - Redattore: Antonini), accogliendo le questioni che aveva sollevato davanti a sé, ha dichiarato illegittimo l'articolo 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge n. 201/2011 là dove parlando di «nucleo familiare» finisce per penalizzarlo, in contrasto con gli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione.

Le questioni (poi riunite in un'unica decisione) partono da un giudizio sorto davanti alla Commissione tributaria di Napoli avverso gli avvisi di accertamento con i quali il Comune aveva contestato ad un soggetto il mancato pagamento dell'Imu (anni dal 2015 al 2018) in relazione alla sua abitazione principale sempre in Napoli. Più precisamente, la Ctp espone che: a) il contribuente, «assumendo di possedere i requisiti di legge e provandoli documentalmente», avrebbe rivendicato il diritto all'esenzione sul presupposto che l'immobile costituisse residenza anagrafica e dimora abituale dell'intero nucleo familiare; b) il Comune di Napoli avrebbe negato tale diritto perché il nucleo familiare non risiederebbe «interamente» nel medesimo immobile, atteso che il coniuge risulterebbe aver trasferito la propria residenza nel Comune di Scanno.

E proprio su questo aspetto è intervenuta la Corte stabilendo che il requisito della dimora abituale va riferito soltanto al "possessore" e non più dunque al "nucleo familiare".

L'illegittimità è stata poi estesa anche ad altre norme, in particolare a quelle che, per i componenti del nucleo familiare, limitano l'esenzione ad uno solo degli immobili siti nel medesimo comune (quinto periodo del comma 2 dell'articolo 13, Dl 201/2011) e che prevedono che essi optino per una sola agevolazione quando hanno residenze e dimore abituali diverse (comma 741, lettera b) della legge n. 160 del 2019, come modificato dall'articolo 5-decies del Dl 146/2021).

"È ben vero - si legge nella decisione - che la necessità di residenza disgiunta all'interno del medesimo comune rappresenta una ipotesi del tutto eccezionale (e che come tale dovrà essere oggetto di accurati e specifici controlli da parte delle amministrazioni comunali), ma, da un lato, date sia le grandi dimensioni di alcuni comuni italiani, sia la complessità delle situazioni della vita, essa non può essere esclusa a priori; dall'altro, mantenere in vita la norma determinerebbe un accesso al beneficio del tutto casuale, in ipotesi favorendo i nuclei familiari che magari per poche decine di metri hanno stabilito una residenza al di fuori del confine comunale e discriminando quelli che invece l'hanno stabilita all'interno dello stesso.

La Consulta ha chiarito che il precedente orientamento restrittivo era dipeso proprio dal riferimento al nucleo familiare così come emerge dalla norma su cui la Corte si è autorimessa la questione di legittimità.

I giudici hanno poi precisato che in «un contesto come quello attuale», «caratterizzato dall'aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall'evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l'ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell'ambito di una comunione materiale e spirituale».

Pertanto, ai fini del riconoscimento dell'esenzione sulla «prima casa», non ritenere sufficiente - per ciascun coniuge o persona legata da unione civile - la residenza anagrafica e la dimora abituale in un determinato immobile, determina un'evidente discriminazione rispetto ai conviventi di fatto. I quali, in presenza delle medesime condizioni, si vedono invece accordato, per ciascun rispettivo immobile, il suddetto beneficio.

Mentre non vi è un ragionevole motivo per discriminare tali situazioni: "Non può, infatti, essere evocato l'obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall'art. 143 del codice civile, dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l'affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte. Né a tale possibilità si oppongono le norme sulla "residenza familiare" dei coniugi o "comune" degli uniti civilmente . Inoltre, il secondo comma dell'art. 45 cod. civ., contemplando l'ipotesi di residenze disgiunte, conferma la possibilità per i genitori di avere una propria residenza personale.

Infine, la Consulta "ritiene opportuno chiarire" che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale "non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette 'seconde case' delle coppie unite in matrimonio o in unione civile ne possano usufruire. Ove queste abbiano la stessa dimora abituale (e quindi principale) l'esenzione spetta una sola volta". Da questo punto di vista, precisa la Consulta, "il venir meno di automatismi, ritenuti incompatibili con i suddetti parametri, responsabilizza i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli al riguardo; controlli che, come si è visto, la legislazione vigente consente in termini senz'altro efficaci".

Confedilizia saluta positivamente la decisione formulando l'auspicio che le amministrazioni locali "prendano immediatamente atto della pronuncia della Consulta, adeguando alla stessa le loro azioni, anche con riferimento alle procedure in corso". "La sentenza – si legge in una nota - elimina una penalizzazione inaccettabile nei confronti delle famiglie italiane. Avevamo segnalato sin da subito il problema ed era anche intervenuta nel giudizio dinanzi alla Consulta, in qualità di amicus curiae, a sostegno dell'accoglimento delle questioni di legittimità". "Importante, tra l'altro, è il richiamo della Corte alla responsabilizzazione dei Comuni ad effettuare adeguati controlli sul corretto utilizzo dell'agevolazione fiscale".

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La Corte costituzionale dunque:

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall'art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui stabilisce: «[p]er abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «[p]er abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»;

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, quinto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, e successivamente modificato dall'art. 1, comma 707, lettera b), della legge n. 147 del 2013;

3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), nella parte in cui stabilisce: «per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»;

4) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della legge n. 160 del 2019;

5) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della legge n. 160 del 2019, come successivamente modificato dall'art. 5-decies, comma 1, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215; 6) dichiara l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, quinto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato dall'art. 1, comma 707, lettera b), della legge n. 147 del 2013, sollevate, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.

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