L’area non è edificabile senza la variante al piano regolatore generale
Non costituisce plusvalenza imponibile ai fini Irpef la cessione di un’area nei confronti della quale non è ancora intervenuta la variante al Prg che ne consenta l’edificabilità. Così afferma la Ctr Lombardia 3995/26/2018 (presidente Centurelli, relatore Marcellini).
I contribuenti cedevano a una società immobiliare un’area detenuta al di fuori del regime d’impresa, senza dichiarare alcuna plusvalenza imponibile ai fini Irpef. Ciò in quanto l’articolo 67, comma 1, lettera b) del Tuir assoggetta a tassazione la plusvalenza, in caso di terreni non edificabili e non lottizzati, solo nell’ipotesi in cui la cessione sia intervenuta entro i cinque anni dall’acquisto e sempre che l’immobile non sia pervenuta ai cedenti per successione.
L’ufficio, tuttavia, aveva qualificato la cessione come avente oggetto un’area edificabile, in quanto tale sempre produttiva di plusvalenza imponibile laddove realizzata con riferimento a «terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione».
In passato dottrina e giurisprudenza hanno molto discusso sull’interpretazione di questo concetto, almeno sino all’approvazione dell’articolo 36, comma 2, del Dl 223/2006 (cosiddetto «Visco-Bersani»), secondo cui l’area è fiscalmente edificabile «se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». Norma che ha superato positivamente il vaglio costituzionale (ordinanza 41/2008).
Nel caso esaminato dai giudici lombardi, l’Agenzia ha sostenuto la sussistenza nell’area in questione di una potenzialità edificatoria tale, anche se solo in termini astratti, da differenziare il fondo da quelli agricoli. A dimostrazione di tale ragionamento è stato eccepito che, con questa compravendita, l’immobiliare acquirente si era posta l’obiettivo di incrementare l’estensione del comparto industriale già posseduto.
Diversamente, i giudici di entrambi i gradi di merito hanno negato l’esistenza di una simile «suscettibilità edificatoria» al momento dell’atto di compravendita, in quanto la variante urbanistica che originato l’edificabilità è intervenuta due anni dopo rispetto alla cessione, e dopo che una prima domanda in tal senso, proposta dai cedenti, era stata respinta dal Comune. L’area compravenduta, quindi, nel momento in cui è diventata di proprietà della società immobiliare era ancora agricola, come del resto i terreni circostanti.
Poiché gli atti di cessioni di aree sono accompagnati, per legge, dall’allegazione del certificato di destinazione urbanistica, è difficile comprendere prese di posizione che prescindano da tale documento, basate su elementi non definitivi quali la natura del soggetto acquirente, il prezzo unitario concordato, gli accadimenti successivi all’atto, eccetera. Così come non è facile comprendere la decisione sulla compensazione delle spese della lite, assunta dalla Ctr, basandosi su una supposta «natura valutativa» della controversia, di ardua individuazione.