Contabilità

L’utilizzo del saldo attivo non comporta tassazione

L’utilizzo del saldo attivo da rivalutazione a copertura di perdite può comportare conseguenze di natura fiscale e, più precisamente, un incremento dell’imponibile della società? Questa domanda è di fondamentale interesse dato che non saranno pochi i casi in cui la rivalutazione dei beni di impresa avrà proprio questo specifico obiettivo: incrementare il patrimonio netto per poi ridurlo a copertura di perdita senza costringere i soci ad eseguire ricapitalizzazioni.
Il problema ha assunto una certa delicatezza dopo la risposta dell’agenzia delle Entrate all’interpello 316 del 24 luglio 2019, con cui si è sostenuto che, se il saldo attivo è in sospensione di imposta, a certe condizioni la copertura di perdite genera imponibile. Fermo restando, conclude laconicamente l’interpello, la possibilità di utilizzare altre riserve non in sospensione di imposta.
Per analizzare la questione partiamo proprio da quest’ultimo punto: la scelta della riserva da utilizzare per coprire una perdita non è libera, ma deve seguire un ordine che va dall’utilizzo in primis delle riserve più disponibili (riserve di utili) e in subordine quelle meno disponibili (saldo attivo da rivalutazione e riserve di capitale). Il principio, posto per dare attuazione alla necessaria tutela dei creditori, comporta che si dovranno utilizzare per prime le riserve disponibili; se queste ultime sono insufficienti, si dovranno intaccare anche le riserve vincolate, a iniziare da quelle per le quali il vincolo stesso è meno rigido.
In particolare, la Cassazione (sentenza 12347 del 6 novembre 1999) ha suggerito questo ordine: riserve facoltative, riserve statutarie, riserve legali. Ora ipotizziamo che l’unica riserva disponibile nel netto sia il saldo attivo, riserva in sospensione d’imposta poiché è stata eseguita la rivalutazione con effetto fiscale.
È chiaro che qualora fosse stata eseguita la rivalutazione con mero effetto contabile la riserva scaturente non sarebbe stata in sospensione di imposta e quindi non si porrebbe alcun problema fiscale nell’utilizzarla a copertura della perdita. Se invece la riserva, come si diceva, è in sospensione di imposta, l’utilizzo per attribuzione ai soci comporta l’emersione di un imponibile in capo alla società pari alla riserva stessa al lordo dell’imposta sostitutiva da rivalutazione. È quanto dispone l’articolo 13, comma 3, della legge 342/2000, applicabile anche alla rivalutazione attuale in forza del richiamo contenuto al comma 7 dell’articolo 110 del Dl 104/20. L’articolo 13 parla di tassazione nell’ipotesi di attribuzione ai soci e non per copertura di perdite. La tesi delle Entrate deve però essere confinata al caso specifico sopposto ad interpello, cioè l'utilizzo, direttamente a patrimonio netto, del saldo attivo per azzerare una perdita derivante da un disavanzo da fusione.
La circostanza che la perdita di quell’interpello non fosse di esercizio bensì un dato allocato direttamente a patrimonio netto ha indotto le Entrate a pronunciarsi in favore della imponibilità (in questo senso in linea con un precedente della Corte di Cassazione, la sentenza n. 5943 dell’8 marzo 2017).
Non vi è dubbio, comunque, che, quando si parla di perdite di esercizio, l’utilizzo del saldo attivo in sospensione di imposta non provoca alcuna tassazione. Questa è l’unica possibile lettura dell’articolo 13. Ne deriva che per le perdite di esercizio 2020 prodotte anche dalla emergenza coronovirus (ma non solo queste ovviamente) l’utilizzo del saldo attivo potrà essere una valida alternativa alla ricapitalizzazione.

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