La donazione di quote con piccola rendita non è un «vitalizio»
L’ufficio non può riqualificare un contratto di donazione modale in costituzione di rendita vitalizia, senza verificare in concreto l’effettiva aleatorietà del rapporto. L’atto, infatti, ai fini dell’imposta di registro va interpretato sulla base della volontà reale delle parti espressa nel negozio giuridico soggetto a registrazione, poiché si tratta di un tributo sulla “ricchezza” espressa dall’atto. A dirlo è la Ctp Brescia 690/2/2019 (presidente e relatore Vitali).
La sentenza riconosce come atto di donazione modale il contratto con cui una madre 87enne aveva donato al proprio figlio quote societarie per 488.941,24 euro, ponendo a carico del figlio/beneficiario l’onere di corrispondere alla madre/donante una rendita vitalizia del valore contrattuale di 14.400 euro annuali. In particolare l’ufficio, prendendo in considerazione il valore contabile delle quote sociali donate e della rendita vitalizia, come indicato nel rogito e senza procedere a una loro capitalizzazione, aveva negato il carattere liberale proprio della donazione riqualificando l’atto come costituzione di rendita vitalizia, soggetta al versamento dell’imposta di registro in misura proporzionale.
Così operando, tuttavia, l’amministrazione avrebbe messo in relazione il valore della rendita, posta quale onere a carico del donatario, come emergente dall’atto di donazione, con quello delle quote societarie trasferite, omettendo di procedere a una capitalizzazione del vitalizio per rendere il suo valore attuale e, dunque, raffrontarlo con il valore del cespite donato, così valutando il concreto interesse perseguito dalle parti.
Il collegio ha respinto la tesi dell’amministrazione, in base ai seguenti elementi:
- la mancanza di aleatorietà dell’atto soggetto a registrazione, che è invece propria del contratto costitutivo di rendita vitalizia;
- l’elevata età della madre donante ( 87 anni)
- l’assenza di sproporzione tra il valore delle prestazioni dovute dal figlio/beneficiario, attualizzate nel loro ammontare, rispetto alle quote societarie donate.
In base all’articolo 20 del Dpr 131/86 l’imposta di registro viene applicata «secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione» che impongono di verificare l’onere posto a carico del beneficiario della donazione e la sua gravosità in termini economici rispetto al valore del cespite patrimoniale donato. In tal senso , quando il beneficiario è prossimo alla morte, per età o malattia, e l’entità della rendita è inferiore al frutto o agli utili ricavabili dal cespite patrimoniale trasferito sono escluse l’aleatorietà e la costituzione di una rendita vitalizia (Cassazione 1467/18 e 20645/18).
Nel caso in esame il valore della rendita, come capitalizzata in considerazione dell’età del beneficiario (87enne), era inferiore alle quote donate. Pertanto, il negozio giuridico non poteva qualificarsi come rendita vitalizia, ma come donazione modale. Nel caso di specie, la rendita è solo un modo per limitare o ridurre il valore della liberalità posta in essere, non potendosi qualificare come corrispettivo per la cessione delle quote, capace di imprimere al contratto un carattere di onerosità.