Imposte

Ritenute e appalti, fuori mercato le imprese con bilanci in rosso

di Giorgio Gavelli e Giuseppe Latour

Una via d’uscita che sarà inapplicabile in moltissimi casi. L’analisi approfondita dell’articolo 4 del decreto fiscale (Dl 124/2019), la cui legge di conversione è stata appena approvata dalla Camera, dice chiaramente questo: il certificato di affidabilità previsto dal comma 5, che in teoria dovrebbe consentire a molte imprese di dribblare il nuovo complicatissimo meccanismo delle ritenute, non potrà essere utilizzato da molti operatori in situazioni nelle quali ha poco senso che vengano esclusi.

La catena di adempimenti oggetto di critiche da diversi giorni, anche nella versione appena rivista, non sarà obbligatoria per le imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici che comunichino al committente di avere una serie di requisiti, con certificazione dell’agenzia delle Entrate.

Dovranno essere in attività da almeno tre anni, essere in regola con gli obblighi dichiarativi e avere eseguito nell’ultimo triennio versamenti complessivi registrati nel conto fiscale per almeno il 10% del totale dei ricavi e compensi che risultano in dichiarazione.

È questo il primo ostacolo davanti al quale cadranno in molti. Pensiamo a un’impresa costituita da meno di tre anni o semplicemente in perdita fiscale, magari perché sta attraversando una fase complicata: è molto probabile, infatti, che un’impresa in perdita fiscale abbia anche una forte perdita di bilancio.

Allo stesso modo, un’impresa in perdita, magari soggetta a reverse charge o a split payment (molto frequenti proprio negli appalti) e con poche ritenute, assai difficilmente potrà rispettare il requisito dei versamenti. E, quindi, esporrà i suoi committenti ai nuovi oneri in materia di ritenute fiscali.

Questo, però, non è il solo requisito. Le imprese devono, infatti, dimostrare anche di non avere iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di debito affidati agli agenti della riscossione relativi a imposte sui redditi, Irap, ritenute e contributi previdenziali per oltre 50mila euro, scaduti e non pagati. Chi richiede (e rispetta) una rateazione si trova al riparo da rischi.

In questo caso, il problema riguarda gli accertamenti esecutivi e le cartelle esattoriali superiori a quella cifra che siano stati impugnate dalle imprese. Se, infatti, l’impresa impugna la cartella e chiede la sospensiva, deve augurarsi che questa venga accolta. Perché in tutti i casi nei quali i giudici non dispongano la sospensione (e comunque in attesa che essa venga concessa), le imprese che sforino i 50mila euro saranno esposte a una conseguenza molto grave.

Non potranno, cioè, essere esentate dall’applicazione dell’articolo 4 e nel loro rapporto contrattuale sarà obbligatorio mettere in piedi il nuovo sistema di vigilanza sulle ritenute fiscali, con i rischi connessi.

A questo, allora, si accompagna una considerazione ulteriore, che riguarda il mercato di queste imprese. Il decreto fiscale prevede, nella sostanza, che gli appaltatori certifichino al committente di avere dei requisiti, sollevandoli da una serie di oneri.

C’è da chiedersi quanti committenti si assumeranno il peso di lavorare con un’impresa che non ha i requisiti per consentirgli di godere dell’esenzione da controlli e rischi. Pensiamo a un caso tipo: un supermercato che faccia un contratto a una società di pulizie che, a causa di un periodo di crisi, abbia chiuso un bilancio in forte perdita e non stia versando imposte. Oppure che abbia ricevuto una cartella esattoriale da 60mila euro, impugnata ma non sospesa. Lavorando con questa impresa, il committente si esporrà a molte responsabilità: l’obbligo di vigilare sul pagamento delle sue ritenute, analizzando gli F24 e i tabulati, e le sanzioni parecchio pesanti in caso di mancata vigilanza. Un cortocircuito che rischia di penalizzare ulteriormente imprese già in difficoltà.

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