Imposte

Sugli investimenti l’aliquota dell’ultimo scaglione Irpef

di Marco Piazza

Lo schema di legge delega, con riguardo alla revisione delle imposte sui redditi, stabilisce un indirizzo di fondo. Ossia che il legislatore dovrà proseguire l’attuale tendenza verso un regime duale in cui i redditi di lavoro siano tassati con applicazione di un’aliquota progressiva e quelli derivanti da investimenti finanziari o immobiliari siano invece assoggetti a un’unica aliquota proporzionale omogenea che, ci si attende, dovrebbe coincidere con il minimo scaglione Irpef.

La delega, quindi non pare comprendere un riordino generale della legislazione riguardante i redditi di natura finanziaria, riordino di cui, invece, ci sarebbe urgente necessità.

Ricordiamo che la tassazione dei redditi di natura finanziaria è, in larga misura, basato sulla contrapposizione della responsabilità degli intermediari finanziari – chiamati ad agire come sostituti o responsabili d’imposta – e gli interessi dei contribuenti, non sempre dotati delle elevate competenze tecniche necessarie per comprendere la fiscalità finanziaria.

Per evitare, da un lato, una “concorrenza” impropria fra intermediari più o meno scrupolosi e, dall’altro, continui “reclami” della clientela riguardo al comportamento adottato dalle banche in veste di sostituti d’imposta, il sistema dovrebbe essere orientato verso la semplificazione e la comprensibilità.

Non è necessario cambiarne la filosofia di fondo. Pare sufficiente realizzare un maggior coordinamento fra le varie disposizioni che, per vari motivi, si sono stratificati nel tempo. Si dovrebbe, ad esempio, ripulire i testi dai richiami a leggi che non esistono più da anni (come l’articolo 168-bis del testo unico che, pur essendo stato abrogato prima ancora di divenire operativo, appesantisce ancora la lettura di diversi articoli del testo unico), o aggiornando la terminologia (ad esempio evitando di richiamare in alcune norme i soli mercati regolamentati ed in altre anche i sistemi multilaterali di negoziazione) e soprattutto tenendo anche in considerazione che il principio della libertà dei movimenti di capitale sancito dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea impedisce di discriminare gli investimenti degli italiani all’estero e quelli degli stranieri in Italia. Si pensi alla sproporzione delle sanzioni in materia di quadro RW, specie quando gli investimenti sono fatti in Paesi che danno lo scambio d’informazioni o la discriminazione dei dividendi di fonte estera non percepiti per il tramite di banche italiane (tassati sul loro ammontare lordo, senza credito d’imposta) rispetto a quelli percepiti attraverso intermediari italiani (tassati sul cosiddetto «netto frontiera»).

Spesso la semplicità passa attraverso l’armonizzazione. Ci si chiede, ad esempio, perché in regime dichiarativo si applichi, come criterio di flusso, il lifo a scatti annuali (estremamente complesso da gestire), mentre nel risparmio amministrato si applichi il metodo del costo medio (più semplice), oppure perché gli intermediari finanziari non possano applicare le imposte sostitutive sulle plusvalenze derivanti dalle cessioni e prelievi di valute estere o, infine, se abbia ancora senso che esita uno specifico regime di tassazione dei “titoli atipici” ora che, nella prassi, questa tipologia di investimento è ormai molto poco frequente. Non si può che sperare che l’indeterminatezza della delega sia interpretabile nel senso di garantire la massima libertà di azione da parte del legislatore delegato e che questi dia ascolto alle proposte che saranno fatte dagli operatori sulla base delle proprie (non sempre positive) esperienze.

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