Controlli e liti

Avviamento, le incoerenze rispetto ai cespiti giustificano la rettifica del Fisco

La sentenza 14872/2020 della Cassazione: l’Agenzia può contestare la deducibilità se non è stato iscritto in bilancio il valore reale

di Luca Dal Prato

L’agenzia delle Entrate può sindacare la ripartizione dell'avviamento acquisito a titolo oneroso se, la sua riallocazione, risulta incoerente rispetto all'effettivo valore dei singoli cespiti. La conferma arriva dall’ordinanza 14872/2020 della Cassazione.

In linea generale, la cessione d'azienda è un'operazione imponibile che genera una plusvalenza imponibile in capo al cedente consentendo, conseguentemente, il riconoscimento fiscale del costo sostenuto in capo al cessionario. Tuttavia, possono nascere alcune criticità se il valore aggregato - e in particolare l'avviamento - viene suddiviso tra i singoli elementi patrimoniali trasferiti, soprattutto quando scontano aliquote di ammortamento fiscale diverse.

Il principio di diritto

Nel caso esaminato, i giudici hanno affermato il seguente principio di diritto: «In tema di dichiarazione dei redditi di una società, quale che sia il loro valore di libro […] l'amministrazione finanziaria può sempre sindacare la deducibilità dei relativi costi, ove dimostri che non il valore reale del bene materiale o immateriale è stato iscritto in bilancio, ma quello che risulta frutto della violazione del principio fissato dall'articolo 2423, comma secondo, del Codice civile».

In sintesi l'agenzia delle Entrate, pur senza dover contestare l'operazione lato sensu o il prezzo della cessione d'azienda, frutto della libera contrattazione tra le parti, può invece sindacare l'arbitraria suddivisione contabile del prezzo, qualora non consideri rispettati i principi di correttezza e veridicità sanciti dall'articolo 2423 del Codice civile, non potendosi inserire in bilancio poste inesistenti o sopravvenute ma, solo, di valore reale.

A supporto di questo principio interviene anche l'articolo 2426 del Codice civile, comma 1, n. 6 che - al fine di fornire ai terzi una sorta di congruità del valore dell'avviamento - richiede al collegio sindacale di esprimersi proprio in merito all'iscrizione dello stesso. Dettaglio che in questa sede assume particolare rilievo se si considera che, il collegio sindacale in carica, aveva negato il proprio consenso all'iscrizione dell'avviamento e che, la società cedente, era la società controllante della stessa società cessionaria.

I precedenti orientamenti

Non è la prima volta che la Cassazione richiama l'attenzione su questo aspetto discrezionale: analogo principio era stato espresso con la sentenza 9950/2008 e, a conclusioni del tutto simili, era giunta anche la Commissione studi tributari del Consiglio nazionale del notariato, con lo studio n. 81-2009/T (paragrafo 7.3) approvato il 4 dicembre 2009. Del resto, la possibilità concessa all'agenzia delle Entrate, di estendere le proprie contestazioni anche alle scelte contabili pare ammessa in virtù del fatto che, in esito all'iscrizione dell'avviamento, sopravvengono maggiori costi suscettibili di generare minori redditi imponibili.

Le ricadute

Pertanto, al fine di evitare contestazioni tributarie, pare quindi opportuno dettagliare quanto più possibile la composizione del prezzo della cessione d'azienda, attraverso una precisa indicazione del valore dei singoli (o gruppi di) cespiti trasferiti, idealmente suffragando tale valore con apposite perizie di stima, che tengano conto sia della patrimonializzazione della società sia della sua redditività. Diversamente, in caso di accertamento, al contribuente non resta altro che fare affidamento all'istituto del contraddittorio che, a seguito della recente circolare 17/E/2020 pare ulteriormente depotenziato, oppure adire alle sedi contenziose, tenendo però in considerazione che l'attuale orientamento dei supremi giudici pare più favorevole alle motivazioni addotte dall'agenzia delle Entrate.

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