Diritto

Recesso del socio con valutazione della quota a carico dell’azienda

L’orientamento della Cassazione solleva più di un interrogativo

di Paolo Meneghetti

Il recesso del socio di società di persone viene eseguito determinando il valore della quota con la situazione patrimoniale, la cui predisposizione è un onere della società. Così si è recentemente pronunciata la Corte di cassazione con sentenza n. 4260 del 19 febbraio 2020, ma una volta determinato il valore della quota ai fini del recesso del socio, quale è lo scenario fiscale che si presenta sia per il socio uscente sia per la società?

Il problema
Nella prospettiva del socio uscente il primo ostacolo da superare è scindere l’aspetto della determinazione del reddito ritraibile dal recesso, dalla qualificazione del medesimo. Tutto ciò deriva dalla applicazione dell’art. 20 bis del Tuir, secondo il quale il reddito che si genera in questa operazione viene sì determinato con le regole dell’art. 47 comma 7 del Tuir, ma ciò non significa che la categoria reddituale prodotta sia reddito da capitale.
Secondo il citato art. 47 del Tuir il reddito da recesso è pari alla differenza tra il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione ( letteralmente il prezzo pagato per l’acquisto, che per le società di persone si traduce in costo fiscalmente riconosciuto) e somma ( o valore normale dei beni in natura) ricevuta dalla società. Questa norma rientra tra i redditi da capitale e da qui l’equivoco ricorrente secondo il quale il reddito ritratto dal socio è di capitale : in realtà il reddito da recesso è di capitale solo per i soci di società di capitali, mentre il socio di società di persone determina il reddito ai sensi dell’articolo 47 del Tuir, ma lo qualifica tramite l’art. 20 bis. E proprio l’art. 20 bis del Tuir esordisce affermando che si parla di reddito da partecipazione, categoria , come è noto, non compresa nelle sei categorie reddituali per cui il reddito di partecipazione altro non è che reddito prodotto a monte del socio dalla società , quindi reddito d’impresa se la società è commerciale, reddito da lavoro autonomo se la società o associazione svolge attività professionale.

Gli effetti
Ma quale è la conseguenza di qualificare il reddito da recesso quale reddito d’impresa e non reddito da capitale? La risposta è immediata: il reddito d’impresa si forma con il principio di competenza e non con quello di cassa per cui il recedente genera reddito quando viene stabilito negozialmente con la società l’importo dovuto, e ciò a prescindere dal fatto che la somma sia effettivamente pagata . In questo senso si è pronunciata la circolare 47/E/08, par. 7.5 ribadendo che trattandosi di reddito partecipativo d’impresa, la tassazione segue il principio di competenza e quindi va indicata nel modello Redditi quadro RH e non quadro RL ( dividendi).
Altro ragionamento va fatto sulla società che versa al socio una certa somma, di regola più elevata rispetto all’ammontare della quota di patrimonio netto riferibile al socio recedente che viene annullata per effetto del recesso. Tale differenza è motivata da due aspetti : in primo luogo il riconoscimento di plusvalenze latenti ( prima tra tutte l’avviamento) ed in secondo luogo l’ammontare dell’utile prodotto nel corso dell’esercizio in cui il recesso avviene, utile che ancora non si è consolidato nel patrimonio netto . Al fini di valutare correttamente la fiscalità della società occorre separare nella somma spettante al socio recedente la quota parte di patrimonio netto ( capitale sociale iniziale e utili sempre riferibili al socio uscente) rispetto all’eccedenza di cui sopra denominata “ differenza da recesso”. Quest’ultima parte della somma spettante al socio rappresenta il costo fiscalmente deducibile in capo alla società , così come ha riconosciuto l’agenzia delle Entrate con la risoluzione 64/E del 2008, nella quale emerge che la stessa somma che società deduce costituirà l’ammontare del reddito tassabile in capo al socio.

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