Imposte

Bonus impatriati ancora precluso agli sportivi professionisti

La circolare 33/E rinvia l’applicazione perché manca il Dpcm attuativo

di Antonio Longo

Estensione a 10 anni del regime «impatriati» anche in presenza di figli nati dopo il trasferimento in Italia ma entro il primo quinquennio e agevolazioni per gli sportivi professionisti rinviate sino all’adozione del Dpcm di attuazione. Detassazione al 90% in caso di trasferimento della residenza in un comune del Sud anche se l’attività lavorativa è svolta in un Comune diverso, redditi da diritti di autore inclusi nel perimetro dell’agevolazione, mentre restano fuori i redditi d’impresa attribuiti dalle società «trasparenti» ai soci impatriati. Sono solo alcuni dei chiarimenti forniti nella circolare 33/E/2020 a seguito delle modifiche introdotte dal Dl 34/2019 (decreto Crescita). Interpretazioni che assumono particolare rilevanza anche perché arrivano a pochissimi giorni dall’inserimento di una norma, contenuta nella legge di Bilancio 2021 approvata alla Camera (si veda l’articolo su Nt+ Fisco), che estende le agevolazioni anche ai lavoratori rientrati in Italia ante 2019.

La circolare riguarda l’assetto normativo preesistente, ma è evidente che i chiarimenti sono destinati a far discutere molto nei prossimi mesi anche alla luce delle recenti ulteriori modifiche. Il regime fiscale per i cosiddetti lavoratori «impatriati» ha trovato una ampia riformulazione ad opera del Dl 34/2019. Le agevolazioni si applicano ai lavoratori residenti all’estero nei 2 periodi d’imposta precedenti il trasferimento e che si impegnano a risiedere in Italia per almeno 2 anni svolgendo l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano. A questi soggetti spetta la detassazione ai fini Irpef, per 5 anni, del 70% del reddito di lavoro dipendente o autonomo. Il regime si applica anche a chi avvia un’attività d’impresa in forma individuale. Per chi si trasferisce al Sud la detassazione è del 90%. Inoltre, per favorire il “radicamento” nel nostro Paese, le agevolazioni si estendono per ulteriori 5 anni, con detassazione al 50% in questo arco temporale aggiuntivo, in caso di lavoratori con almeno un figlio minorenne/a carico o che diventino proprietari di immobili residenziali in Italia dopo il trasferimento (ovvero lo siano diventati nei 12 mesi precedenti). Ai lavoratori con 3 figli spetta una detassazione del 90 per cento. L’iniziale decorrenza di queste nuove e più ampie agevolazioni era stabilita per i trasferimenti di residenza fiscale dal 2020. Con il successivo Dl 124/2019 le disposizioni sono state rese applicabili anche ai lavoratori che avevano trasferito la residenza «dal» 30 aprile 2019 con effetti dal periodo di imposta 2019.

La circolare prende posizione su molteplici aspetti di natura interpretativa, in alcuni casi in maniera condivisibile, in altri meno. Uno dei chiarimenti che sembra sollevare le maggiori problematiche è il “rinvio”, in via interpretativa, delle agevolazioni previste per gli sportivi professionisti impatriati sino all’adozione del previsto Dpcm di attuazione. In sede di conversione in legge del decreto Crescita, era stato introdotto un regime ad hoc per i lavoratori che operano nel settore dello sport professionistico. Il regime si applica ad atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che operano nell’ambito delle discipline riconosciute come professionistiche dal Coni (calcio, pallacanestro, ciclismo, golf).

Per questi soggetti, i redditi derivanti dall’attività lavorativa svolta in Italia (si pensi allo stipendio corrisposto dal club di appartenenza) concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro ammontare. L’adesione al regime è su opzione e comporta il versamento di un contributo pari allo 0,5% della base imponibile. Con Dpcm sarebbero appunto dovuti essere definiti criteri e modalità di attuazione di questa previsione. Al riguardo, citando un parere conforme del Mef, l’Agenzia ritiene che gli incentivi agli sportivi professionisti non si possano applicare finché non sarà adottato il Dpcm.

Si tratta di un chiarimento discutibile, che non sembra in linea con i principi di gerarchia delle fonti (il Dpcm è norma di rango secondario) e di tutela dell’affidamento dei contribuenti, e comunque tardivo anche perché interviene su rapporti giuridici già in essere.

Tra gli ulteriori chiarimenti rilevanti si segnalano i seguenti aspetti principali:

•in presenza di un “collegamento” tra il trasferimento in Italia e l’inizio di un’attività lavorativa, ricadono nell’agevolazione anche i redditi derivanti da attività diverse intraprese dopo il trasferimento ma entro il primo quinquennio agevolabile;

•in relazione al regime “transitorio” introdotto dal Dl 124/2019, nelle more dell’emanazione del decreto che istituisce il «fondo Controesodo», i soggetti che abbiano trasferito la residenza dal 30 aprile 2019 al 2 luglio 2019 potranno accedere alle agevolazione nella minore misura del 50 per cento;

•l’estensione del beneficio temporale per ulteriori 5 anni in presenza di almeno un figlio minorenne o a carico (o acquisto di un immobile residenziale) è riconosciuta anche qualora il figlio sia nato (o l’immobile sia acquistato) successivamente al rientro ma entro il primo quinquennio (l’Agenzia si era già espressa così in occasione di Telefisco 2020). Secondo le Entrate, non è ostativa all’estensione la circostanza di essere già proprietario di altro immobile residenziale in Italia. Non sembra, invece, allineato alla lettera della norma il chiarimento secondo cui l’intera proprietà (rileva il contratto definitivo e non il preliminare) debba essere necessariamente acquisita dal lavoratore a titolo oneroso (la norma usa le locuzioni “oppure” dal coniuge, dal convivente o dai figli, e “anche” in comproprietà);

• in caso di trasferimento della residenza in un comune del Sud si avrà diritto alla detassazione dei redditi agevolabili nella misura del 90 per cento anche qualora l’attività lavorativa sia svolta in un Comune diverso da quello di residenza;

•i principi che hanno ispirato la cosiddetta “sanatoria Aire” - che consente l’accesso ai benefici anche agli italiani non iscritti all’Aire purché in grado di dimostrare la residenza all’estero in uno Stato con cui l’Italia ha una convenzione contro le doppie imposizioni - possono essere estesi (si ritiene in maniera condivisibile) anche ai cittadini stranieri, che, dopo un periodo di residenza italiana, si siano trasferiti all’estero, per poi fare ritorno in Italia, senza essersi cancellati dall’anagrafe nazionale;

•laddove l’impatriato non abbia formulato alcuna richiesta al proprio datore per l’applicazione degli incentivi, né abbia dato evidenza dell’agevolazione nella relativa dichiarazione dei redditi, gli incentivi possono essere applicati con la presentazione di una “dichiarazione correttiva” nei termini, ma non tramite successive “dichiarazioni integrative a favore”, ferma la possibilità di fruire del regime agevolato per i restanti periodi di imposta del quinquennio;

•possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero o i cui committenti siano non residenti (da valutare il rischio stabile organizzazione);

•tra i redditi agevolabili derivanti da lavoro autonomo rientrano anche quelli connessi ai cosiddetti “diritti di autore”, ove l’utilizzazione economica sia effettuata dall’autore o inventore (diversamente si tratta di redditi diversi non rientranti nel perimetro degli inventivi);

•secondo l’Agenzia, le agevolazioni non troverebbero applicazione con riferimento agli emolumenti percepiti nei periodi d’imposta in cui l’impatriato ha acquisito la residenza fiscale in Italia, ma riferiti a prestazioni lavorative svolte in periodi d’imposta precedenti. Si tratta di un chiarimento che sembra ispirato ad una logica anti-elusiva ma che deroga al principio di cassa applicabile al reddito di lavoro dipendente.

Principio che, peraltro, è richiamato dalla stessa Agenzia a proprio favore per negare la spettanza delle agevolazioni in relazione ai bonus erogati in periodi di imposta in cui l’impatriato è fuoriuscito dal regime agevolativo, ancorché connessi ad attività svolte quando il regime era pienamente applicabile.

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