I temi di NT+Le massime di Cassazione

Rivalsa Iva, regime madre-figlia, società in liquidazione

La falcidia concordataria fissa al professionista il limite del recupero del credito Iva di rivalsa

In caso di concordato preventivo omologato, al fine dell’esercizio della detrazione dell’Iva grazie alla quale viene poi richiesto il rimborso dell’imposta risultata a credito, non basta, al committente che ha presentato la proposta di concordato, la mera ricezione della fattura emessa dal professionista per l’intero importo dell’imponibile. Al professionista il ricupero del credito Iva di rivalsa, infatti, potrà essere consentito solo nei limiti della falcidia concordataria, che in tal senso costituisce così un limite e una condizione di esercizio della detrazione Iva. Diversamente, la procedura concorsuale potrebbe ottenere illegittimamente a rimborso dall’Erario più di quanto lo stesso Erario non sarebbe in grado di incassare per l’Iva dall’effettuazione della predetta operazione imponibile.

O Cassazione, sentenza 18837/2020

L’Erario non deve contestare ante la Ctp la prova non fornita sul rimborso Irpef

In caso di silenzio rifiuto opposto alla richiesta di rimborso del credito Irpef maturato dal dipendente per le somme erogate dal datore di lavoro a titolo di danno emergente a seguito di accordo transattivo, l’Amministrazione resistente nel giudizio ante la Ctp non è tenuta a contestare fin dal primo grado la mancanza di prova offerta dal contribuente circa la natura delle somme ricevute e la loro conseguente intassabilità, ben potendo introdurre tale contestazione anche in sede d’appello. Questo in quanto nel processo tributario, se si controverte sul silenzio rifiuto alla domanda di rimborso del contribuente, la posizione dell’Amministrazione è in re ipsa, non è obbligata a provare i fatti costituitivi di una possibile pretesa e pertanto non è onerata di contestare espressamente i fatti affermati dal contribuente.

O Cassazione, ordinanza 18882/2020

Doppio requisito perché il liquidatore risponda per i tributi non onorati della società

Non è invocabile automaticamente da parte dell’Amministrazione la responsabilità del liquidatore il quale, a seguito del realizzo delle attività della liquidazione, potrebbe rispondere in proprio per il mancato pagamento delle imposte dovute dalla società per l’esercizio di liquidazione e per quelli anteriori nel caso laddove abbia invece soddisfatto crediti di ordine inferiore a quelli tributari e/o abbia assegnato beni ai soci prima del pagamento dei crediti tributari. Tale responsabilità, infatti, dal punto di vista quantitativo, va commisurata all’importo che gli stessi crediti tributari che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. Dal punto di vista qualitativo, resta attivabile a condizione che i tributi rimasti a carico della società siano già stati iscritti a ruolo e che vi sia idonea prova della loro mancata soddisfazione nonostante il realizzo delle attività della liquidazione.

O Cassazione, ordinanza 19008/2020

Se sono provati patto sociale e suoi elementi costitutivi scatta l’accertamento alla società di fatto

Ai fini accertativi l’esistenza di una società di fatto fiscalmente rilevante non può essere desunta né dalla mera esternazione della società, che a tutto concedere è rilevante solo nel rapporto con i terzi né agli atti insufficienti, ex se, ad individuare i suoi elementi costitutivi. Questo in quanto necessita sempre della dimostrazione, anche attraverso prove orali e/o presunzioni, dell’esistenza del patto sociale e dei suoi elementi costitutivi quali fondo comune, esercizio in comune di attività economica, ripartizione dei guadagni e delle perdite e vincolo di collaborazione.

O Cassazione, ordinanza 19234/2020

La norma transitoria del Dlgs 344/2003 stoppa il regime agevolato madre/figlia

La società madre italiana, che in vigenza del comma 1 dell'articolo 96-bis del Dpr 917 del 1986, aveva distribuito dividendi utilizzando il regime fiscale agevolato madre/figlia derivanti dalla vendita di un immobile di proprietà della società figlia francese, non poteva altresì portare in deduzione la minusvalenza conseguente alla svalutazione della partecipazione poi realizzata nel 2004 a seguito di cessione della partecipazione invocando la disposizione transitoria recata dal comma 1, lettera d), dell’articolo 4, del Dlgs 344/2003. Questo in quanto la predetta norma, che pure consentiva la deducibilità delle minusvalenze realizzate entro il secondo periodo d’imposta successivo al 31 dicembre 2003, non si rendeva applicabile, dovendosi invece applicare nel caso di specie il disposto del previgente comma 5, articolo 96-bis del Dpr 917 del 1986, che obbligava comunque alla tassazione delle minusvalenze per la quota determinatasi a seguito della distribuzione di utili che non avevano concorso a formare il reddito.

O Cassazione, sentenza 19286/2020