Professione

Ungheria, la flat tax che piace agli italiani

di Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi

L’ultima nata in Ungheria con un bel fiocco tricolore si chiama Technology Korlátolt Felelosségu Társaság. La società a capitale italiano (9.500 euro) nel settore delle costruzioni ha deciso di fissare la sede legale a Hosszuheteny, una cittadina di soli 3.360 abitanti nel Transdanubio meridionale, al confine con la Croazia e a due ore di macchina da Budapest. Chissà, forse a influire sulla scelta ha pesato il fatto che sia una delle mete turistiche ungheresi o forse il gemellaggio con Morolo, che ha più o meno gli stessi abitanti ed è in provincia di Frosinone.

Ogni giorno nel Paese guidato dal primo ministro Viktor Orban nasce una società a capitale italiano. A farla da padrone sono le attività commerciali all’ingrosso e al dettaglio (circa un terzo del totale). A ruota le attività immobiliari (435 aziende, per un totale di 165 dipendenti e 46,7 milioni di euro di fatturato), manifatturiere (oltre 300 aziende), professionali e via di questo passo. Attratte dal fisco leggero ma non solo.

Il particolare regime fiscale dell’Ungheria - 9% per le società dal 2017 e 15% per le persone fisiche dal 2011 - è stato messo sotto la lente della Commissione europea il 7 marzo dello scorso anno. L’Ungheria, con altri sei Paesi, viene accusata di aggressività fiscale a scapito degli altri Stati dell’Unione europea anche se molte società estere sono arrivate qui prima della riforma fiscale che nel 1997 portò la tassazione sulle società al 18%.

Il calcolo della presenza di imprese italiane in Ungheria è stato fatto dalla banca dati del gruppo Itl, nato dall’intuito dell’imprenditore veneto Alessandro Farina che, arrivato a Budapest nel ’92, tre anni dopo ha fondato un gruppo che oggi assiste le imprese italiane che entrano nel mercato ungherese. L’archivio di Itl Group conta oggi 2.875 aziende, per un totale di 26.097 dipendenti e un fatturato complessivo di oltre 3,4 miliardi di euro. Quelle grandi, vale a dire con oltre 250 dipendenti assunti, sono 16 con un totale di 13.710 lavoratori subordinati e un fatturato di oltre 1,1 miliardi. La maggior parte sono piccole o piccolissime e spesso non indicano il numero di dipendenti. La maggior parte si trova nell’area intorno a Budapest ma non mancano quelle distribuite nelle zone di confine.

«Questo Paese ha assistito a una forte accelerazione di imprese italiane a partire dal 2012 - spiega Farina, amministratore unico di Itl Group -. Dalle 10-15 al mese si è passati alle 25-30 al mese, con un trend che ormai si è stabilizzato. Non tutte sopravvivono. Ogni anno il saldo tra iscritte e cancellate, vede un saldo positivo di un centinaio di società».

Non si può negare che l’aspetto fiscale abbia giocato un ruolo fondamentale almeno negli ultimi 22 anni, periodo nel quale le aliquote sul reddito d’impresa sono scese dal 18% al 9%. Senza dimenticare che chi investe in ricerca e sviluppo paga solo il 4,5% e che si moltiplicano i tax ruling soprattutto con le grandi imprese e le multinazionali. Per bilanciare la bassa imposizione fiscale su imprese e persone fisiche, l’Ungheria ha scelto di aumentare le imposte sui consumi. L’Iva è generalmente al 27% anche se esistono aliquote al 18% e al 5%. «Le aliquote sono alte ma c’è la certezza del diritto - afferma Francesco Maria Mari, presidente della Camera di commercio italiana per l’Ungheria - e se chiedi un rimborso lo Stato lo accredita sul conto corrente del contribuente in meno di 40 giorni». Questa politica sembra dare i suoi frutti, visto che nel 2017 (ultimo dato disponibile) le casse dello Stato ungherese hanno incamerato 14.400 miliardi di fiorini, pari a circa 45 miliardi di euro, in crescita rispetto al 2016. Le tasse sulle imprese hanno fruttato oltre 711 miliardi di fiorini, oltre 2 miliardi di euro (in calo rispetto al 2016). «Una srl si costituisce in un solo giorno e viene omologata in tre giorni. Le dichiarazioni fiscali si fanno rapidamente», ragiona Giuseppe Caracciolo, commercialista che guida a Budapest Karma consulting, proiezione ungherese dello studio Caracciolo Bernardi e associati di Treviso.

A Nagykallo, estremo Nordest dell’Ungheria, ai confini con Ucraina, Romania e Slovacchia, Renato Fava, managing director di Tecnica Ungheria, apre le porte dello stabilimento nel quale vengono prodotti fino a 4mila paia al giorno di scarponi da sci Nordica. «Questa è una zona geografica molto vantaggiosa - afferma -, sul corridoio che parte da Venezia e arriva a Kiev». Questa felice collocazione ha contribuito ad attrarre imprese da tutta Europa e non solo. Nella zona, ad esempio, ci sono gli stabilimenti di Lego, Michelin, Electrolux e le italiane Serioplast (industria meccanica) e Farmol (igiene personale e della casa).

Nagikanizsa, a Sudovest dell’Ungheria, è un altro polmone industriale del Paese. Ospita General Electric (dal 1965) che qui conta circa 3mila dipendenti e non mancano le presenze italiane come Dub Pumps e North Plastik. Il paese è anonimo e silenzioso ma nei dintorni si susseguono capannoni come ad esempio quello di Electric motors europe (Eme Hungary) del gruppo Orange1. Lo stabilimento costruito a Nagykanizsa venti anni fa produce motori elettrici per ascensori, pompe idrauliche, compressori, cancelli elettrici, generatori eolici e idroelettrici. Mauro Grana, ceo di Eme Hungary, spiega che in Ungheria «siamo arrivati dieci anni fa. All’inizio ci siamo autofinanziati per fare poi ricorso alle banche, che nel frattempo si sono strutturate».

Due ore di macchina e si raggiunge nuovamente Budapest. Varosligeti Fasor è la via che ospita la confederazione sindacale Maszsz, ad appena un chilometro dalla sede di Fidesz, il partito del primo ministro Orban. Il palazzo è una vecchia casa del popolo all’interno del quale ci sono ancora disegni e sculture che richiamano l’era del socialismo reale. In Ungheria il sindacato raccoglie appena il 9,5% dei lavoratori, concentrati soprattutto nelle medie e grandi aziende e nelle multinazionali, ma il 79% dei lavoratori è nelle piccole e piccolissime imprese. Da questo edificio Karoly Gyorgy, segretario internazionale della confederazione, espone le sue critiche alla politica di Orban. «Il primo ministro non è per il dialogo sociale - spiega Gyorgy -. La flat tax è ingiusta perché privilegia le classi sociali più alte». Meno scontato, invece, è il giudizio sulla flat tax per le imprese: «Il 9% è il risultato della competizione fiscale», dice Gyorgy.

Nota dolente è la legge che estende a 400 le ore di straordinario (in pratica 50 sabati su 52) che le imprese possono chiedere ai propri lavoratori, con il pagamento differito fino a tre anni. Contro questa legge sono scesi in piazza i sindacati e le ripercussioni più gravi dello sciopero sono state registrate presso lo stabilimento dell’Audi a Gyor, dove gli impianti sono rimasti fermi una settimana.

Nel centro di Budapest una grande ruota panoramica gira con il suo carico di turisti. Anche l’economia dell’Ungheria gira a pieno ritmo sospinta dalla flat tax. Nessuno, però, può dire quanto durerà.

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