Controlli e liti

Al contribuente conviene sempre produrre la prova contraria

Per una più efficacie difesa conviene comunque produrre in senso più sostanziale la prova contraria

di Laura Ambrosi

L’eventuale irretroattività della norma andava sollevata nel ricorso introduttivo del giudizio, non essendo una questione rilevabile d’ufficio. In tale contesto, occorreva quindi non solo eccepire un’errata interpretazione della disposizione, ma anche la tardività dell’atto perché notificato in violazione del termine di decadenza.

Se, infatti, non è applicabile retroattivamente la norma, per i periodi antecedenti il 2009, non esiste alcuna possibilità di raddoppio dei termini. In concreto, ciò comporta che se il contribuente non ha sollevato l’illegittima applicazione ovvero la tardività, nessun giudice potrà dichiarare la nullità dell’atto notificato.

La prova contraria

Ciò premesso, occorre sottolineare che per una più efficacie difesa, non è sufficiente limitarsi ad eccepire l’irretroattività della norma, poiché conviene comunque produrre in senso più sostanziale la prova contraria.

Va infatti ricordato che secondo un indirizzo maggioritario e particolarmente rigoroso della Suprema corte, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa (Cassazione 30803/2017). In particolare, è stato affermato che il requisito della concordanza ricorre solo nel caso di concorso tra più circostanze presuntive (Cassazione 8484/2009).

La lista Falciani

Da ciò potrebbe così conseguire che l’Ufficio possa provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di un singolo elemento indiziario

È il caso, della nota lista Falciani, il cui utilizzo è stato confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione 8605 e 8606/2015), secondo la quale l’amministrazione finanziaria può utilizzare ai fini dell’accertamento gli elementi «comunque» acquisiti con l’unico limite dell’acquisizione in «spregio di un diritto fondamentale del contribuente».

Accertamento valido

Va da sé, quindi, che nell’ipotesi in cui l’ufficio non si limiti a tassare le maggiori somme in virtù di una presunzione derivante dalla mera applicazione della norma, come normalmente accade, ma, al contrario, fornisca anche altri elementi su cui basare la propria pretesa in ordine ai redditi esteri non dichiarati, il giudice potrebbe correttamente confermare la validità dell’accertamento.

In tale contesto è opportuno che il contribuente, in via prudenziale, evidenzi che la pretesa del fisco sia basata esclusivamente sulla presunzione legislativa senza aver addotto nessun altro elemento idoneo a sostenere la contestazione.

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