Professione

Board libero di decidere con buona fede e diligenza

di Riccardo Borsari

La gestione di una società comporta la spendita da parte dell’organo amministrativo di una discrezionalità che concerne, innanzi tutto, la scelta se effettuare o meno una determinata operazione e, una volta che si sia deciso in senso positivo, tutto ciò che interessa i singoli profili della stessa. La discrezionalità esercitata dall’organo amministrativo corrisponde, d’altra parte, alla necessità di governare le incertezze del mercato.

Per questo motivo, da tempi ormai risalenti, è stata elaborata, dapprima negli Stati Uniti d’America, la teoria della Business Judgment Rule (Bjr). Secondo questa teoria, le scelte discrezionali dell’organo di governo dell’impresa sono sottratte al sindacato del giudice. Il fatto di operare in un mercato concorrenziale determina la necessità che l’amministratore, per perseguire al meglio il profitto della società, sia libero dal rischio di incorrere in responsabilità connesse al cattivo esito di un affare. L’insuccesso, infatti, non necessariamente è dovuto a inadeguatezza del board ma può essere l’esito fisiologico dell’alea del mercato.

La regola, tuttavia, non costituisce un salvacondotto assoluto per le decisioni e il comportamento dei manager. Pur in presenza di oscillazioni in dottrina e giurisprudenza, si ritiene che le scelte gestorie siano comunque sindacabili nei limiti di una condotta contraria a buona fede, in quanto dolosamente dannosa nei confronti della società, o se contraria al dovere di diligenza. Quest’ultima evenienza si verifica, in particolare, quando il board agisca senza aver adottato le precauzioni minime necessarie a garantire, se non il successo, almeno la diminuzione del rischio connesso alla singola operazione che si intraprende. Tale valutazione della diligenza nello svolgimento e nella conclusione del singolo affare non può essere condizionata, ovviamente, dal suo eventuale esito negativo, non può cioè essere condotta con il “senno di poi”, ma deve avvenire in ottica prognostica, con un giudizio ipotetico ex ante.

In concreto, la predisposizione di opportune cautele si sostanzia nella predisposizione di canali informativi che consentano all’organo di amministrazione di fruire di basi conoscitive idonee a prendere decisioni appropriate al contesto di azione e alla minimizzazione dei rischi per la società.

La teoria della BJR è stata accolta anche dalla nostra giurisprudenza, con tratti sostanzialmente analoghi a quelli appena sintetizzati.

In questo contesto, la necessità di prevenire situazioni di sofferenza delle imprese ha indotto il legislatore del nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza a introdurre, con l’articolo 2086, comma 2, del Codice civile, un obbligo di organizzazione specificamente rivolto alla valutazione costante del rischio della crisi di impresa e funzionale alla garanzia della continuità aziendale. L’obbligo di organizzazione si pone sulla scia della riforma delle società di capitali che già nel 2003 aveva introdotto, con l’articolo 2381, comma 5, del Codice civile, l’obbligo per l’organo amministrativo di curare un assetto organizzativo adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.

La tendenza in atto alla creazione di nuovi obblighi procedurali, a carattere precauzionale, comporta un’estensione dei doveri dell’organo amministrativo, che pone nuovi quesiti circa la sindacabilità delle scelte operate dallo stesso.

Verificatosi un danno in seguito a una decisione dell’organo amministrativo, oltre a giudicare di eventuali responsabilità dirette, può il giudice sindacare la mancata adozione delle misure organizzative precauzionali? Può valutare la loro adeguatezza?

Il primo quesito trova nel nostro ordinamento una risposta agevole nella stessa presenza dell’obbligo di organizzazione. Dato, cioè, che la legge impone all’organo amministrativo un preciso standard organizzativo, in sede di accertamento della responsabilità non sarà possibile opporre la volontà della società di agire sul mercato senza avere adottato misure preventive. D’altra parte – e in questo si nota una differenza ideologica con il sistema statunitense, in cui l’operatività del sindacato è subordinata alla decisione della società di dotarsi di mezzi di cautela idonei a fronteggiare i pericoli del mercato attraverso un’azione preventiva – la solidità dell’assetto societario non è un bene per la sola società, ma è funzionale a garantire anche diritti e interessi di terzi.

La risposta alla seconda questione, invece, è meno immediata. Contro la sindacabilità del merito delle decisioni organizzative, è stato osservato come il nuovo Codice della crisi di impresa non imponga alcun vaglio specifico relativo dell’assetto organizzativo della società, ma solo la verifica da parte dei soggetti individuati del fatto che l’organo amministrativo si sia attivato a fini preventivi (articolo 14, comma 1, del Codice civile). Pertanto l’organo di gestione è tenuto a prevedere un assetto organizzativo, ma rimane libero di decidere in quale forma e con quale contenuto.

La dottrina maggioritaria pare orientata a favore della possibilità di sindacare il merito delle scelte organizzative a carattere precauzionale, per il fatto che la legge impone scopi precisi che debbono essere perseguiti attraverso l’assetto adeguato della società (la rilevazione di uno stato di crisi e la sussistenza del cosiddetto going concern). Non vi è, infatti, discrezionalità quando la legge ponga delle finalità o dei limiti alla libertà di un soggetto protagonista dell’ordinamento.

D’altra parte, la legge non ha interesse ad un mero attivarsi della società, magari solo di facciata, a fini elusivi, bensì richiede la predisposizione di uno strumento efficace di prevenzione. Lo stesso articolo 2403 del Codice civile impone al collegio sindacale il dovere di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e tale assetto è pur sempre unico nella compagine societaria, sebbene oggigiorno finalizzato anche alla prevenzione della crisi di impresa, e perciò unitariamente sottoposto al controllo dell’organo di vigilanza.

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