Professione

Codice della crisi d’impresa a rischio eccesso di delega

di Riccardo Borsari

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Dlgs 14/2019) non ha intaccato la fisionomia dell’impianto penalistico della legge fallimentare, fatto salvo per l’introduzione – correlata alle nuove procedure di allerta e di composizione assistita della crisi – di una causa di non punibilità e di una circostanza attenuante ad effetto speciale connesse alla tempestività dell’iniziativa del debitore volta a far emergere la crisi o l’insolvenza (articolo 25, comma 2).

In effetti, a parte la configurazione di tali misure premiali (articolo 4, lett. h), la legge delega 155/2017 prevedeva esclusivamente un adeguamento lessicale delle disposizioni penali della legge fallimentare mediante la sostituzione del termine «fallimento», e dei suoi derivati, con l’espressione «liquidazione giudiziale» (articolo 2, comma 1, lett. a). Pertanto, le disposizioni penali del Codice per lo più riproducono, sul piano dei fatti incriminati, le corrispondenti disposizioni della legge fallimentare.

Sennonché, e malgrado la Relazione illustrativa lo escluda, qualche novità rilevante è ravvisabile, con conseguenti perplessità di ordine costituzionale, sotto il profilo dell’eccesso di delega (articolo 76 della Costituzione, si veda però, tra le altre, Corte cost. n. 230/2010).

La prima riguarda la fattispecie di bancarotta fraudolenta societaria per aver cagionato il dissesto con dolo o per effetto di operazioni dolose. Perché, nell’articolo 329, comma 2, lett. b), del Codice della crisi il termine «fallimento» – utilizzato nell’articolo 223, comma 2, n. 1, della legge fallimentare – non è stato sostituito con l’espressione: «liquidazione giudiziale», ma con la parola «dissesto». È questa, tuttavia, un’innovazione più apparente che reale, in quanto, secondo l’opinione maggioritaria formatasi sulla disposizione della legge fallimentare, la norma incriminatrice farebbe riferimento al fallimento in senso sostanziale, ossia al dissesto (Cassazione 32350/2018), inteso come substrato economico-patrimoniale dell’insolvenza (Cassazione 15613/2014).

Più rilevanti, allora, sono le novità concernenti il reato di falsità in attestazioni e relazioni. Infatti, nell’articolo 342, comma 1, del Codice della crisi al testo del corrispondente paragrafo dell’articolo 236 bis della legge fallimentare è stata aggiunta una locuzione – «in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati» – che finisce per estromettere dall’area del penalmente rilevante il giudizio di fattibilità/attuabilità. Si profila così, a dispetto della continuità normativa predicata dalla legge delega (articolo 2, comma 1, lett. a), un’abolitio criminis parziale. Per contro, nuove incriminazioni emergono dal raffronto tra le relazioni o attestazioni richiamate dalle due disposizioni.

Nuove incriminazioni si riscontrano, inoltre, nell’articolo 341 del Codice della crisi d’impresa laddove, al comma 3, estende l’applicabilità di certi reati fallimentari a strumenti di risoluzione concordata non contemplati dal corrispondente paragrafo dell’articolo 236 della legge fallimentare, così aggravando anche i dubbi di costituzionalità in punto di uguaglianza-ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione) sollevati su quest’ultima norma, tanto più che, per effetto della nuova nozione di crisi (probabilità di insolvenza – articolo 2, lett. a) del Codice della crisi), i reati di bancarotta si applicheranno a situazioni ancora più distanti dall’insolvenza rispetto allo «stato di crisi» concepito dalla legge fallimentare (in termini omogenei all’insolvenza – articolo 160, comma 3). Oltretutto, proprio in ragione di una nozione tanto diversa di crisi, le fattispecie in esame parrebbero porsi in un rapporto di eterogeneità strutturale con le precedenti, con conseguente effetto di abolitio criminis parziale.

Va infine segnalato che nell’articolo 343 del Codice della crisi d’impresa non è stato riprodotto il 3° comma dell’articolo 237 della legge fallimentare, che estendeva i reati del curatore fallimentare (e dei suoi coadiutori) al commissario speciale (e ai suoi coadiutori) della procedura di risoluzione introdotta con il Dlgs 180/2015 per il caso di dissesto o rischio di dissesto degli enti bancari.

Sul piano intertemporale, l’articolo 390, comma 3, del Codice della crisi prevede che le disposizioni penali della legge fallimentare continueranno ad applicarsi ai fatti commessi in relazione a procedure i cui atti introduttivi siano stati depositati prima della sua entrata in vigore, fissata per il 15 agosto 2020. Una siffatta disposizione è sospetta di illegittimità costituzionale per contrasto con il principio di retroattività della legge penale favorevole, sancito dall’articolo 7 Cedu, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e quindi con l’articolo 111 della Costituzione.

Passando al versante processuale, le novità del Codice concernono le disposizioni degli articoli 317-321 in materia di rapporti tra misure cautelari reali e procedure concorsuali.

È appena il caso di precisare, da ultimo, che, nel Codice, non sono state riproposte disposizioni penali della legge fallimentare, sia sostanziali, sia processuali, espressamente o implicitamente abrogate.

Un accenno, in conclusione, meritano i reati relativi alle procedure di composizione delle crisi, anche da sovraindebitamento, e all’esdebitazione. In estrema sintesi:

l’articolo 344, comma 1, del Codice della crisi d’impresa riproduce l’articolo 16, comma 1, della legge n. 3/2012, salvo che per l’espunzione della fattispecie di omessa indicazione di beni nell’inventario (che non deve essere più) allegato dal debitore alla proposta di liquidazione controllata (abolitio criminis) e per il riferimento alla nuova procedura del concordato minore (nuova incriminazione). A parte rimangono i problemi di coordinamento con i reati di bancarotta del socio illimitatamente responsabile di società di persone, che rientra ora, per i debiti estranei a quelli sociali, nella nozione di consumatore (articolo 2, comma 1, lett. e) del Codice della crisi);

al comma 2 della stessa disposizione è introdotto un reato inedito, a presidio del nuovo istituto dell’esdebitazione del debitore incapiente, che punisce i comportamenti di falsità materiale della documentazione prodotta dal debitore per accedere a tale procedura, di sottrazione della propria documentazione contabile e di omissione o falsità della dichiarazione da presentare per dar conto dei redditi nei quattro anni successivi;

i commi 3-4 del ridetto articolo riproducono i commi 2-3 dell’articolo 16 citato, ma con significative novità per il reato di falsità in relazioni e attestazioni dei componenti dell’organismo di composizione della crisi, di cui è stato, per un verso, ampliato l’oggetto materiale a quelle previste nelle procedure di concordato minore e di esdebitazione (nuova incriminazione) e, per l’altro, ridotto il fatto tipico, per effetto dell’eliminazione del riferimento all’attestazione di fattibilità (abolitio criminis);

l’articolo 345 del Codice della crisi d’impresa inserisce una nuova figura di reato, configurata sulla falsariga della figura dell’articolo 342, per i componenti dell’Ocri, con riguardo all’attestazione di veridicità dei dati aziendali nel caso in cui il debitore, dopo aver attivato il procedimento di composizione assistita della crisi, dichiari di voler presentare domanda di concordato preventivo o di omologazione di accordo di ristrutturazione.

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