Il CommentoFinanza

Ricerca e sviluppo, credito d’imposta da aggiornare alla «fase 2»

Opportuno ridisegnare gli strumenti già messi in campo con Industria 4.0

di Francesco Leone

L’emergenza Covid-19 ha indotto il Governo ad adottare misure atte a garantire una liquidità immediata alle imprese ed esse non sono state veicolate tramite gli incentivi di natura fiscale. Questi ultimi potrebbero però risultare significativi in una seconda fase, quando l’obiettivo del Governo dovrebbe consistere nel sostegno alla crescita economica.
Ove si andasse in questa direzione sarebbe auspicabile che il Governo (o il Parlamento) anziché introdurre dei nuovi strumenti si dedicasse al rafforzamento e alla rimodulazione di quelli già esistenti, già noti e “compresi” dalle imprese. Solo questi ultimi, infatti, garantirebbero un’immediata risposta delle imprese (e del sistema economico) dato che i nuovi incentivi necessitano di tempi di assimilazione e potrebbero comportare la necessità di rivedere alcune scelte imprenditoriali.
In tale contesto sarebbe utile (ri)partire dagli incentivi fiscali ricompresi cd. Industria 4.0 (o, come ultimamente denominata, Transizione 4.0) a partire dal credito d’imposta per i nuovi investimenti e dal credito d’imposta per la ricerca e l’innovazione.
Un primo intervento dovrebbe portare ad un’estensione della finestra temporale di fruizione di tali incentivi (entrambi con scadenza 2020) e, con l’occasione, prevedere un arco temporale chiaro, definito e di lungo periodo, superando così la logica delle proroghe e dei continui ”ritocchi normativi” che hanno contrassegnato tali incentivi nel recente passato. Questo semplice intervento avrebbe effetti sostanziali importanti in quanto consentirebbe alle imprese di ripartire consapevoli di un sostegno “garantito” di medio periodo, soprattutto in una fase di ripartenza economica in cui ogni investimento (in macchinari o in ricerca) risulterà allettante solo se sarà supportato da incentivi non “una tantum”, oltre che economicamente rilevanti.
Il credito in ricerca e sviluppo andrebbe peraltro ripensato rispetto ad altri elementi. In primo luogo, il vigente (e nuovo) credito d’imposta spettante per il 2020 si basa sul cosiddetto approccio “volumetrico”, cioè esso risulta pari ad una certa percentuale (12% o 6%) delle spese annuali eleggibili. A conti fatti, rispetto al precedente credito d’imposta (valevole dal 2015 al 2019 e determinato con l’approccio “incrementale”) quello in vigore, da un lato, permette la fruizione del credito anche alle imprese con volumi di ricerca significativi ma costanti ma, dall’altra parte, non “premia” in particolar modo chi incrementa l’investimento in ricerca. Nel contesto post-emergenza, il credito andrebbe ripensato in modo da trovare il corretto trade-off tra le diverse situazioni, ricordando che l’approccio incrementale potrebbe risultare più favorevole per le imprese più dinamiche, soprattutto Pmi. Per inciso, poi, andrebbe rivista anche la misura attuale dell’agevolazione (12% o 6%), soprattutto se l’incentivo vorrà essere utilizzato come leva per la crescita.
Un secondo aspetto che dovrebbe essere riconsiderato attiene alla ricerca commissionata ad imprese italiane da soggetti non residenti. La legge di bilancio 2020, come si ricorderà, ha riportato l’ambito oggettivo della disciplina agevolativa a quella vigente prima del 2017 ed ha pertanto escluso l’eleggibilità di tale attività tra quelle ammesse all’incentivo per il 2020.
A prescindere da valutazioni di carattere di politica industriale - tutte legittime - circa la ratio dell’incentivo (agevolare solo la ricerca nazionale, cioè quella che garantisce un incremento degli IP italiani ovvero stimolare il rafforzamento di centri di ricerca da parte imprese multinazionali anche solo per lo svolgimento di una parte dell’attività di ricerca), post-emergenza, possibili esigenze di sostengo all’occupazione potrebbero consigliare la reintroduzione dell’incentivo anche per la citata ricerca commissionata, ricordando – peraltro – che le imprese multinazionali rappresentano pur sempre un’importante quota della nostra economia nazionale.