Controlli e liti

Svalutazione in controllate extra Ue a prova di perdite

La Cassazione fornisce un’interpretazione costituzionalmente orientata della formulazione prima della riforma

Le svalutazioni di partecipazioni in società controllate estere residenti in Stati extra Ue, con i quali non sono stati stipulati accordi sullo scambio di informazioni, sono ammesse laddove il contribuente fornisca all’amministrazione finanziaria la prova contraria in ordine all’effettiva esistenza delle perdite alla base delle svalutazioni.

Con la sentenza 8715 del 17 gennaio 2020, depositata lo scorso 11 maggio, la Cassazione si esprime sull’articolo 61, comma 3-bis Tuir nella sua formulazione ante riforma 2004, fornendone un’interpretazione costituzionalmente orientata.

La vicenda
A ricorrere innanzi al Supremo Collegio la società contribuente, dopo due gradi di merito favorevoli all’amministrazione finanziaria. La Commissione tributaria provinciale prima, e i giudici di seconde cure poi (Ctr Lombardia n. 12/33/2012), avevano riconosciuto la legittimità degli avvisi di accertamento con i quali l’agenzia delle Entrate aveva disconosciuto in capo alla contribuente la deducibilità Ires delle svalutazioni delle partecipazioni detenute in tre controllate estere (residenti una a Panama e due in Nigeria) in forza del dettato normativo di cui all’articolo 61 comma 3-bis Tuir pro-tempore vigente.

L’interpretazione
La Cassazione, accogliendo il secondo motivo di ricorso della società, chiarisce che della norma in esame deve essere data un’interpretazione costituzionalmente orientata, in ragione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, consentendo al contribuente di fornire all’amministrazione finanziaria la «prova contraria» in ordine all’effettiva esistenza delle perdite alla base delle svalutazioni delle partecipazioni societarie.

L’interpretazione letterale della disposizione, fatta propria dai giudici di merito, sarebbe invece contraria tanto al principio di uguaglianza (le svalutazioni in controllate extra Ue risulterebbero indeducibili in virtù della sola mancanza di accordi per lo scambio di informazioni con l’Italia, mentre le stesse svalutazioni sarebbero deducibili se si trattasse di partecipazioni in controllate residenti in un Paese Ue o di partecipazioni in controllate estere residenti in un Paese extra Ue che garantisce lo scambio di informazioni) nonché a quello di capacità contributiva.

I costi balck list
La tematica della sussistenza di informazioni acquisibili dall’amministrazione finanziaria al fine di riconoscere la deducibilità delle svalutazioni, contemplata dall’articolo 61, comma 3-bis Tuir pro-tempore vigente, rende la norma assimilabile - secondo il Supremo Collegio - alla disciplina dei costi black list (articolo 110 Tuir post riforma 2004, articolo 76 ante riforma) ovvero dei costi sostenuti con Paesi con i quali non vi è scambio di informazioni.

Disciplina quest’ultima che, mutata nel tempo più volte sino alla sua abrogazione, ha comunque sempre contemplato per il contribuente la possibilità di fornire la prova contraria. Lo stesso vale per il dettato normativo Cfc (articolo 167 Tuir) ove sono congiuntamente presenti, da un lato, l’espresso riferimento agli accordi fra Paesi che assicurino un effettivo scambio di informazioni e, dall’altro lato, la possibilità di prova contraria per il contribuente. E ancora, analogamente, il regime Pex di cui all’articolo 87 Tuir, nonché l’articolo 37-bis Dpr 600/73 e oggi l’articolo 10-bis L. 212/2000, tutte fattispecie ove al contribuente è sempre garantita la prova contraria.

La soluzione
La pronuncia di legittimità merita di essere segnalata perché spesso si dimentica che tra i compiti di ogni giudice c’è la ricerca della soluzione costituzionalmente orientata ed il ricorso alla rimessione davanti alla Corte Costituzionale deve essere solamente l’extrema ratio (si ridurrebbero così anche le numerose pronunce di inammissibilità rese dal giudice delle leggi).

I giudici sono chiamati tutti al controllo di costituzionalità, posto che non si devono limitare ad indagare la ratio legis ma devono parametrare la legge alla ratio constitutionis in rapporto alle esigenze del caso concreto. Ebbene qui i giudici sembrano correttamente prendere atto che v’è una libertà dei mezzi di prova e un generale diritto di farli valere riconosciuto dall’ordinamento. Del resto è prova tutto ciò che ha attitudine al convincimento ragionevole, e questo principio non può che valere anche per il contribuente.

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