Il CommentoDiritto

Con la nuova transazione al centro l’interesse fiscale

di Enrico De Mita

Attraverso la legge 159 / 2020, di conversione del Dl 125/2020, si anticipa l’entrata in vigore delle norme sulla transazione fiscale e contributiva di cui al Codice della crisi d’impresa, modificando gli articoli 180, 182-bis e 182-ter, della legge fallimentare (articolo 48 del Dlgs 14/19).

A norma dell’articolo 180, della legge fallimentare, comma quarto, il Tribunale può omologare il concordato preventivo quando l’adesione mancata dei creditori erariali, previdenziali e assistenziali è determinante e la proposta concordataria è più vantaggiosa rispetto all’alternativa fallimentare.

Sempre in materia di transazione fiscale e previdenziale, il Dl 137/20, convertito con legge 176/20, è intervenuto sulla legge 3/12. Il voto negativo determinante dell’agenzia delle entrate, nei confronti della proposta di accordo di composizione della crisi, si converte in voto positivo se tale proposta consente all’erario l’ottenimento di una soddisfazione maggiore di quella derivante dalla liquidazione del patrimonio (articolo 14-ter della legge 3/12).

I dubbi interpretativi sui concetti di «mancata adesione» o «mancato voto» erariale possono essere sciolti alla luce dei principi costituzionali: in presenza di decisività del voto e convenienza, il dissenso, espresso o tacito, del creditore fiscale è rimesso al sindacato giurisdizionale.

È tracciata la via legale e giudiziale del superamento del voto dissenziente del creditore erariale quando è pregiudizievole per la realizzazione dell’interesse fiscale.

I Tribunali commerciali ne hanno piena contezza e sono chiamati a non avvitarsi in vischiose elucubrazioni sullo spessore semantico della espressione «mancanza di adesione». È fin troppo chiaro che tale fattispecie ricorre sia quando l’amministrazione finanziaria tace che quando esprime il rigetto della proposta formulata.

Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti ex articolo 182-bis della legge fallimentare, composizioni delle crisi da sovraindebitamento non differiscono nella medesima soluzione. L’ha chiarito la stessa Corte costituzionale (245/19). L’alternativa è la violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione) e del principio di efficienza della Pubblica amministrazione (articolo 97 della Costituzione).

Ricorrendo ad una locuzione anglosassone si è parlato anche di cram down erariale. Dal mondo anglosassone deriviamo utilmente il richiamo a quel pragmatismo dal quale non può prescindere il realizzo dell’interesse fiscale costituzionalmente inteso. È improprio parlare di superamento o neutralizzazione del diniego, espresso o tacito, dell’agenzia delle entrate. L’interesse fiscale, costituzionalmente inteso, non è un interesse proprio dell’ufficio che lo rappresenta. È un interesse della comunità.

Se l’ufficio erariale competente non svolge la dovuta valutazione dell’interesse fiscale, la Pubblica Amministrazione deve avere - e ora ha - legalmente al suo interno la risorsa per effettuare, in via suppletiva e in attuazione del medesimo interesse fiscale, tale funzione valutativa. Essa si compie in sede giurisdizionale. Si tratta di una redistribuzione transitoria, ma non precaria, in quanto costituzionalmente orientata, di competenza, in presenza delle condizioni poste dal legislatore.

L’indicazione normativa conferisce il primato alla realizzazione dell’interesse fiscale, in sede giurisdizionale. Ciò vale a maggior ragione quando in campo ci sono principi costituzionali concorrenti e comparabili, come accade, geneticamente e funzionalmente, nelle procedure concorsuali.

Si tratta del superamento di un empasse che troppo spesso ha fatto naufragare procedure concorsuali ben avviate e arenatesi per l’inerzia oppositiva – più o meno consapevole – del creditore erariale. Si trattava di un’inerzia in danno degli stessi interessi erariali, certamente malgovernati.

Lo stesso legislatore, a margine del nuovo Codice della crisi d’impresa, ha censurato le ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate dall’amministrazione finanziaria e dagli enti previdenziali e assistenziali. Il punto nodale è sempre stato quello della indisponibilità del responsabile dell’ufficio ad assumersi la responsabilità di un voto determinante. Questo rappresenta l’elisione della funzione apicale, incapace di decidere, anche quando la decisione è evidentemente vantaggiosa per il credito erariale, altrimenti destinato ad essere (non o mal) pagato con moneta fallimentare.

Decisioni come quella del Tribunale di La Spezia del 14 gennaio 2021 (si veda l’articolo di Giulio Andreani e Fabio Cesare), che pare la prima in materia di cram down fiscale e previdenziale, segnano l’approdo di un’acquisizione necessitata anche sul piano del diritto tributario costituzionale e della più alta concezione dell’interesse fiscale. In gioco è la tenuta del sistema.

Il pragmatismo nordico, in quest’ottica, può essere esemplare nell’inveramento dei nostri principi costituzionali.