Controlli e liti

Reddito d’impresa, il costo antieconomico è rideterminato dal Fisco

Il contribuente che organizza la propria attività in maniera «anomala», attenuando il proprio obbligo di contribuire alla spesa pubblica, è tenuto a dare ragione dell’anomalia delle proprie scelte

di Ivan Cimmarusti

I costi «antieconomici» che il contribuente-impresa utilizza nella determinazione del reddito sono rettificati dal Fisco. La conclusione della Commissione tributaria regionale della Basilicata, con la decisione 17/03/2022 n. 91/1, ricalca il principio enunciato dalla Cassazione con la sentenza n. 23635/2008. In sostanza, in sede di rideterminazione del reddito d’impresa - nell’ambito della valutazione delle componenti attive e passive dello stesso - rientra tra i poteri dell’Amministrazione finanziaria la rettifica dei costi e dei ricavi esposti nelle dichiarazioni fiscali. Pertanto, il contribuente che organizza la propria attività in maniera «anomala e antieconomica», attenuando il proprio obbligo di contribuire alla spesa pubblica, è tenuto a dare ragione dell’anomalia delle proprie scelte.

Il fatto

La controversia trae origine da un accertamento dell’agenzia dell’Entrate su verifiche già compiute dalla Guardia di finanza. Si era scoperto che la società A aveva attuato una politica imprenditoriale antieconomica allo scopo di partecipare e vincere a una gara d’appalto. Si trattava del noleggio di alcuni mezzi meccanici per l’importo di 588mila euro dalla società B.

Il Fisco rilevava l’assoluta antieconomicità dell’operazione di noleggio, emergente anche dal raffronto tra il costo di acquisto dei beni in questione di 299.987 euro rispetto al costo fatturato per canoni di noleggio di euro 588.800 euro. Così, l’AdE riconosceva in deduzione l’importo di 237mila euro e recuperava a tassazione 351mila euro.

La Ctp

In primo grado, con sentenza n° 233/2017 depositata il 19 ottobre 2017, la Ctp ha accolto parzialmente il ricorso della società nella misura del 50% di quanto emerso nell’avviso di accertamento. I giudici hanno detto che «(…) non va sottaciuto che comunque, se per un verso l’investimento può apparire avvenuto con scelte palesemente antieconomiche quali quelle di noleggiare i macchinari de quo, va aggiunto che ciò in seguito si e rivelato, in definitiva, vantaggioso per la società istante, avendo raggiunto questa lo scopo prefissatosi consistente nella possibilità di partecipare nonché vincere la gara di appalto in atti descritta».

La Ctr

Il secondo grado ha rigettato l’ulteriore impugnazione della società. «Come correttamente evidenziato dall’AdE – scrive la Ctr - il noleggio posto in essere era assolutamente antieconomico nella sua interezza e senza alcun vantaggio per la società, se non quello di abbattere costi di esercizio dell’anno, chiuso con una perdita civilistica di 6.632 euro. Non va sottaciuto, peraltro, che nel corso della verifica la Guardia di finanza accertava, da un’indagine condotta nei confronti della società B, che di fatto era stata omessa la registrazione e dichiarazione da parte della società B di gran parte delle fatture emesse nei confronti della A.

I giudici della Ctr, dunque, spiegano che con la sentenza n. 23635 del 15 settembre 2008 la Corte di cassazione ha precisato che «i comportamenti che si pongono in contrasto con le regole del buon senso e dell’id quod plerumque accidit uniti alla mancanza di una giustificazione razionale (che non sia quella di eludere il precetto tributario) assurgono a ruolo di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che legittimano il recupero a tassazione dei relativi costi».

Nella stessa sentenza e stato ulteriormente precisato che «rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nelle dichiarazioni fiscali» anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici, con la possibilità che venga negata la deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, non essendo l’Ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati.

Per citare le parole della Corte di cassazione contenute nella stessa sentenza n. 23635/2008 «il contribuente (imprenditore o lavoratore autonomo) è libero di organizzare e svolgere la propria attività in maniera antieconomica, ma se ne derivi una attenuazione dell’obbligo di contribuire alla spesa pubblica, egli è tenuto a dare ragione di tale anomala scelta».

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