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Impatriati, la tassazione dei calciatori professionisti sotto la lente della Ue

Un report del Parlamento europeo mette in rilievo le agevolazioni fiscali per i giocatori in alcuni Stati membri

di Dario Aquaro

Anche sulla tassazione dei calciatori professionisti gli Stati Ue sono “uniti nella diversità”. È quindi difficile confrontare il carico fiscale di un giocatore Paese per Paese, perché influenzato da diversi parametri: il livello salariale, il tipo di remunerazione o l’applicazione di incentivi. Ad esempio, nonostante la Germania non abbia specifiche misure fiscali di favore per i calciatori, la progressività (più lenta) delle sue aliquote d’imposta potrebbe renderla più vantaggiosa dell’Olanda, dove ai giocatori si applicano sì riduzioni del 30% ma le aliquote “salgono” più velocemente rispetto ai livelli di reddito. Mentre ci sono altri Stati – come l’Italia – dove si incentivano solo i calciatori venuti dall’estero e che hanno avuto la residenza fiscale oltreconfine per un certo periodo di tempo.

Se lo sport è un settore (in crescita) che rappresenta già oltre il 2% del Pil totale europeo e quasi il 30% dell’occupazione nella Unione europea, il calcio è il gioco più diffuso e commercializzato. Per questo il Parlamento europeo – in particolare, la sottocommissione per le questioni fiscali – ha diffuso una ricerca sul trattamento fiscale dei calciatori professionisti in alcuni Stati membri (Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna), comparandolo al “normale” regime fiscale previsto per i contribuenti non-sportivi.

Lo studio mostra che i calciatori, nel complesso, non fruiscono di più bonus rispetto ad altre tipologie di taxpayers. E che lì dove sono presenti particolari agevolazioni – come in Italia, appunto – «va ricordato che anche altri contribuenti (spesso espatriati qualificati o settori come R&S o l’industria sportiva in generale) hanno accesso a incentivi fiscali». In sintesi, si rileva che la maggior parte dei giocatori più pagati è sempre soggetta alle aliquote fiscali più elevate. Ma che i Paesi seguono approcci diversi per la determinazione della base imponibile: ad esempio, Olanda, Francia e (soprattutto) Italia offrono più chance di “ottimizzarla” a vantaggio del calciatore.

Sembra dunque che gli Stati membri stiano cercando di affrontare gli eccessi fiscali che derivano dall’abuso della pianificazione fiscale. E che allo stesso tempo – pur “uniti nella diversità” – siano consapevoli dell’impatto della tassazione sulla competitività delle leghe calcistiche nazionali. In un contesto nel quale risalta la concorrenza fiscale dei Paesi extra-Ue: i campionati europei, infatti, sono chiamati a fare i conti con la presenza di giurisdizioni a bassa tassazione, come Emirati Arabi Uniti o Qatar, oppure che incentivano specificamente i calciatori, come la Turchia e (fino a poco tempo fa) la Cina.

Gli incentivi in campo
Quali sono allora le agevolazioni attuate o allo studio degli Stati Ue esaminati? L’analisi distingue alcune categorie:

1. Paesi con incentivi fiscali per (tra gli altri) il reddito dei calciatori: Olanda, Francia, Italia e Belgio. Olanda, Francia e Italia non hanno incentivi mirati per l’industria calcistica, ma consentono ai giocatori di fruire di un vantaggioso regime fiscale per gli impatriati, esentando una parte dello stipendio. Un regime di cui beneficiano (indirettamente) anche i club. Olanda e Francia offrono un’esenzione del 30%, l’Italia del 50 per cento. Con alcune restrizioni (specie in Olanda). Anche il Belgio prevede un regime ad hoc per gli impatriati, ma non lo applica ai calciatori; in compenso, permette alle società di non riversare al Fisco l’80% della ritenuta alla fonte sui salari, a condizione di usarlo per lo più per la formazione dei giovani giocatori.

2. Paesi che avevano determinati incentivi fiscali: Spagna. Lo Stato iberico ha infatti introdotto un regime per gli impatriati nel 2005, la cosiddetta legge Beckham, che consentiva di qualificarsi come non residenti fiscali e quindi di usare aliquote fiscali agevolate. Dal 2015, però, l’agevolazione non si applica più ai calciatori.

3. Paesi con agevolazioni specifiche, ma mai applicabili ai calciatori: Portogallo. Qui c’è un regime per i residenti fiscali non abituali, che permette ai lavoratori qualificati di fruire di un’aliquota del 20% sul reddito da lavoro dipendente.

4. Paesi senza regimi fiscali specifici: Germania.

Conclusioni e suggerimenti
Dal punto di vista della Ue, intervenire sulla tassazione dei calciatori professionisti – afferma lo studio – non è “scontato”, per vari motivi: i temi alla base sono trasversali e soprattutto lo spazio di manovra legislativo di Bruxelles in materia di imposte dirette è soggetto a diversi importanti limiti. Oltretutto, le questioni relative all’imposta sul reddito delle persone fisiche non sono ora prevalenti nell’agenda di Commissione europea e Consiglio.

Nonostante ciò, le ricerche in questo campo potrebbero aiutare gli Stati membri a migliorare i propri sistemi, al fine di un’equa tassazione del calcio professionistico, tenuto conto delle particolarità di questo sport, e garantendo una trattamento fiscale favorevole. Il coinvolgimento attivo della Uefa, delle sue associazioni negli Stati membri e di altre parti interne al settore «in un meccanismo simile a un codice di condotta sarebbe un segnale forte per i responsabili politici». Un coinvolgimento che «può essere perseguito anche dedicando ulteriore attenzione ai temi della compliance e della fiscalità nell’accordo di cooperazione concluso tra la Commissione Europea e la Uefa, concluso nel febbraio 2018».

Non solo. Il Parlamento europeo raccomanda di introdurre norme di buona governance uniformi per gli agenti di calcio e le squadre professionistiche, attraverso un sistema di licenze della Ue, oltre a un adeguato sistema di monitoraggio (con sanzioni) delle eventuali violazioni. Perché «il problema del riciclaggio di denaro nel calcio professionistico può essere affrontato efficacemente solo attraverso la legislazione europea».