Diritto

Diniego della transazione fiscale: contestazione al tribunale fallimentare

La Cassazione chiude il dibattito interpretativo sull’individuazione del giudice competente

di Antonino Russo

Con l’ordinanza 8504/2021 delle Sezioni unite ha trovato soluzione il quesito sul giudice deputato a scrutinare l’impugnazione del provvedimento di diniego dell’amministrazione finanziaria circa la proposta di trattamento dei crediti tributari (la cosiddetta transazione fiscale) prevista dall’articolo 182-ter della legge fallimentare.

Prima che la Cassazione si esprimesse in favore del tribunale fallimentare, nell’ambito del dibattito (in cui inizialmente veniva posta in dubbio persino la mera impugnabilità di tale diniego) si adombrava la possibilità di affidare tale esame al giudice amministrativo, in funzione della titolarità, in capo al debitore, di un interesse legittimo all’accoglimento della richiesta. Tale opzione doveva , a sua volta, confrontarsi con quella della impugnabilità del provvedimento di diniego innanzi alle commissioni tributarie, trattandosi di un atto assimilabile al rigetto della domanda di definizione agevolata del rapporto tributario, di cui al comma 1, lettera h), articolo 19 del Dlgs 546/1992, ovvero a quella di diniego di autotutela.

L’orientamento a favore della giurisdizione tributaria

E proprio a favore della giurisdizione tributaria si manifestava il pensiero, pressoché univoco, della giurisprudenza. Infatti, prima ancora della conclusione affermativa di diverse commissioni tributarie (Ctp Salerno 240/2020, Ctp Milano 5429/2019; Ctp Roma 26135/2017), le Sezioni unite della Cassazione Civile – seppur con riferimento all’impugnazione del diniego a una proposta di transazione presentata in base alla normativa precedente – rappresentavano come la natura discrezionale del provvedimento non limitasse la giurisdizione del giudice tributario sul diniego alla transazione fiscale, posta la natura generale della giurisdizione stessa (ordinanza 25632 del 14 dicembre 2010).

Successivamente, anche il Consiglio di Stato, con sentenza del 14 luglio 2016, n. 4021, riteneva che la giurisdizione sull’impugnazione in parola spettasse al giudice tributario, posto che:
● la discrezionalità dell’Erario nel disporre del proprio credito non è agganciata all’esercizio del potere pubblico autoritativo;
● l’accettazione della proposta transattiva è condizionata a valutazioni di merito ed opportunità, sulle quali non è possibile un sindacato del giudice amministrativo;
● il debitore può accedere comunque al concordato preventivo anche laddove la transazione non sia accettata (sempre che, naturalmente, il voto erariale non risulti decisivo per la formazione delle maggioranze).

Tale conclusione non era però condivisa dall’agenzia delle Entrate, che – all’epoca del previgente regime in materia di transazione fiscale – con la circolare del 19/E/2015 si esprimeva a chiare lettere : «tenuto conto della natura endoprocedimentale della transazione fiscale, come inquadrata dalla Corte costituzionale, si sottolinea la non impugnabilità dell’assenso e del diniego alla proposta di transazione, i quali sono espressi – ai sensi dell’articolo 182-ter, terzo comma della legge fallimentare – mediante voto comunicato in sede di adunanza dei creditori ovvero nei modi previsti dall’articolo 178, quarto comma, della legge fallimentare. Gli interessi del debitore così come quelli degli altri creditori possono, infatti, trovare piena tutela attraverso i rimedi giurisdizionali previsti dalla legge fallimentare».

Di fatto, in tal modo, il diniego di transazione non poteva ritenersi ricompreso dall’Agenzia nell’alveo degli atti previsti dall’articolo 19 del Dlgs 546/1992 né, tantomeno, tra quelli di cui alla lettera h) del citato articolo. Va osservato che, sostanzialmente, tale pensiero finiva con il valorizzare la collocazione sistematica dell’istituto tra le procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa e le valutazioni di merito, da parte dell’Erario, sull’intera procedura concordataria nel cui ambito la transazione fiscale, se azionata, si innesta quale sub-procedimento endoconcorsuale (si veda il Tribunale di Milano, 13 dicembre 2007), condividendone le sorti.

Gli interventi legislativi

Il quadro appena descritto veniva coinvolto dai successivi interventi del legislatore. Tra questi e tra i primi, l’articolo 1, comma 81, della legge 232/2016 che – recependo i principi della giurisprudenza comunitaria (sentenza, 7 aprile 2016, Cgue, resa nell’ambito del procedimento C-546/2014) – modificava l’articolo 182–ter della legge fallimentare, con decorrenza 1° gennaio 2017 e, per l’effetto, “polverizzava” il divieto di trattamento parziale del credito Iva, consentendo che – sempre a decorrere dalla medesima data – tutti i crediti gestititi dalle agenzie fiscali possano essere soddisfatti anche in misura non integrale, sempre che la domanda per l’accesso alla procedura contempli l’iter di cui all’articolo 182-ter della legge.

La fine dei dubbi interpretativi

Le Sezioni unite (ordinanza 8504 del 25 marzo 2021) hanno sciolto il dubbio interpretativo sul giudice preposto a esaminare la contestazione del diniego alla transazione fiscale affermando che il rigetto, da parte dell’agenzia delle Entrate, della relativa proposta – formulata dal contribuente nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis – debba essere impugnata dinanzi al tribunale fallimentare, e non al giudice tributario.

La materia, intorno la quale si è formata tale conclusione, va riepilogata nella disciplina della transazione fiscale, così come modificata dall’articolo 1, comma 81, della legge 232/2016, con esclusione sia del Dlgs 14/2019 (codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in vigore dal 1° settembre 2021), sia della nuova disciplina di cui agli articoli 180, 182-bis e 182-ter del Rd 267/1942 – modificato dall’articolo 3 comma 1-bis del Dl 125/2020, convertito dalla legge 159/2020 – che anticipa le previsioni di cui all’articolo 48, comma 5, del Dlgs 14/2019, ma che riguarda i procedimenti nati dopo il 4 dicembre 2020.

L’ordinanza 8504/2021 – disconoscendo l’esito (delle stesse Sezioni Unite) n. 25632/2016 – ha affermato che la “transazione sui ruoli” e la “transazione fiscale” presentano aspetti di significativa diversità, riguardando, la prima, la sola esecuzione esattoriale e la seconda le procedure concorsuali e paraconcorsuali (concordato preventivo ed accordo di ristrutturazione dei debiti) e perciò rispondono ad esigenze che non sono omogenee tra loro, essendo evidente la natura esclusivamente tributaria della prima, essenzialmente concorsuale della seconda. Oltre la giustificazione del revirement, i principali motivi della decisione si incentrano sull’osservazione secondo cui, nell’ambito della “procedura-madre” dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo, vi è un sub-procedimento avente ad oggetto il trattamento dei crediti tributari (cosiddetta transazione fiscale), connotato da “esclusività”, nel senso che il soddisfacimento di tali debiti può essere regolamentato (con la sola eccezione del caso in cui vengano pagati integralmente e senza dilazione) da una norma , quale l’articolo 182-ter, che è prevista però nella legge fallimentare.

L’anticipazione delle norme contenute nel Codie della crisi

Da notare che, ai fini della conclusione poi espressa, la Corte non ha ritenuto di dover escludere (dal suo scrutinio) la nuova disciplina del Codice della crisi e dell’insolvenza, nonostante il principio tempus regit actum, impiegandola come criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare (Cassazione 12476/2020) per poi rilevare che le più recenti formulazioni degli articoli 180, quarto comma, ultima parte, 182-bis, terzo comma, seconda parte, della legge fallimentare, introdotte con il Dl 125/2020, risultano sostanzialmente una mera riproduzione dell’omologa previsione di cui all’articolo 48, comma 5, del citato Codice.

Più specificamente, è stato rimarcato che la configurazione della transazione fiscale è transitata sostanzialmente immutata dal citato articolo 182-ter nel Codice della crisi e nella novella legislativa, introdotta negli articoli 180 e 182-bis della legge fallimentare, dalla legge 159/2020. È stato rilevato che le nuove versioni degli articoli 180, quarto comma, ultima parte, 182 bis, terzo comma, seconda parte, della legge fallimentare, introdotta con il Dl 125/2020, abbiano indirizzato in modo marcato la questione della mancata adesione alla proposta di transazione da parte dell’agenzia fiscale verso la competenza giurisdizionale di merito del tribunale fallimentare, collocando ancor più chiaramente l’istituto de quo all’interno delle procedure concorsuali e alle loro peculiarifinalità, piuttosto che nell’ambito delle procedure di attuazione dei tributi.

Ma, attesa la sostanziale comunanza dei presupposti e delle modalità del “trattamento dei crediti tributari” dettate dalla disciplina in atto e da quella previgente – ratione temporis applicabile al caso affrontato dalle Sezioni Unite – è stato ritenuto dal giudicante che anche nel regolamento pregresso il sindacato fosse comunque affidato allo, stesso tribunale fallimentare, nell’ambito delle sue competenze “omologatorie” generali (articoli 162, 163, 179 e seguenti e 182-bis e ter, della legge fallimentare, rispettivamente per il concordato e per l’accordo di ristrutturazione dei debiti).

La preminenza dell’interesse concorsuale

Al riguardo, è stato infatti precisato che la prevalenza del profilo della concorsualità dell’istituto, come detto, derivante dalla sua necessarietà nelle procedure di diritto fallimentare previste dalla legge, già ne riservasse la valutazione appunto al giudice del concorso tra i creditori, piuttosto che a quello del rapporto tributario ex articoli 2 e 19 del Dlgs 546/1992.

L’unificante ratio legis, sancita dal comune tratto della obbligatorietà della proposta transattiva nelle procedure concorsuali in oggetto, va individuata – sempre nelle argomentazioni rese dalle Sezioni Unite - non nell’ interesse fiscale che è la “causa prima” dell’obbligazione tributaria, del quale si controverte nelle liti tributarie “comuni”, bensì nell’interesse concorsuale che è invece la “ragione fondativa” delle procedure concordatarie ed assimilabili, sempre più mirate alla conservazione del “bene impresa”.

In tale ottica, nella transazione fiscale “obbligatoria” i due interessi troverebbero bilanciamento tra l’ampia discrezionalità riconosciuta all’amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi concorsuali (per il soddisfacimento possibile del suo interesse proprio) e il sindacato giudiziale sul diniego di accettazione della proposta transattiva, dalla normativa attualmente vigente, chiaramente, assegnato al giudice ordinario fallimentare.

Rileverebbe infine , ai fini del raccordo tra le due discipline sostanziali e del conseguente riparto tra le due giurisdizioni, l’ articolo 90, comma 1, del Dpr 602/1973, che nella fattispecie del trattamento concorsuale dei debiti tributari (transazione fiscale) rappresenterebbe il punto di congiunzione regolativo delle due giurisdizioni e l’espressione di un principio generale di riparto, che indica quale rimedio pratico volto ad evitare conflitti di pronunce e vuoti di tutela l’accantonamento dei crediti in controversia insorgenda ovvero insorta .

È stata così svilita ogni tesi ancorata alla giurisdizione ex articolo 2 del Dlgs 546/1992, anche perché la sussumibilità del rifiuto della proposta di transazione in una delle fattispecie indicate nell’articolo 19 del Dlgs 546/1992 (limite interno della giurisdizione tributaria speciale) non risulta rilevante ai fini della questione di giurisdizione in esame.

La conclusione sembra valorizzare, implicitamente, il fatto che gli interessi che il legislatore intende tutelare mediante l’istituto della transazione fiscale non si limitano all’interesse erariale all’introito del gettito, ma si estendono all’interesse dell’economia nazionale ad evitare la necrosi delle imprese assicurando la continuazione delle produzioni.

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