Controlli e liti

Ai business della blockchain servono regole giuridiche certe

di Dario Deotto e Alberto Ferrari

È davvero la blockchain la soluzione per i problemi del mondo? Spesso si ha la sensazione che la parola blockchain venga utilizzata come specchio per le allodole dietro al quale si celano dei veri e propri raggiri (come alcune Initial coin offering, Ico) o, semplicemente, perché “va di moda”.

Certo la blockchain – nella sua reale “essenza” di libro giornale decentralizzato con caratteristiche di immutabilità del dato, garanzia di accesso, trasparenza ed eliminazione del bisogno di un intermediario – può portare a creare nuovi modelli di business e affascinanti progetti imprenditoriali. Le prospettive possono essere infinite: dal come riscrivere i processi di tracciabilità del dato (dalla filiera alimentare, a progetti green, a processi di supply chain management) a come rivoluzionare il mondo finanziario (fintech) o al modo di fare intermediazione di asset reali.

Tuttavia, per capire dove realmente può arrivare la blockchain, occorre partire da un concetto base, ossia capire quali informazioni ha senso memorizzare in essa, come possono essere memorizzate e soprattutto da dove nascono.

Nella blockchain dei bitcoin, ad esempio, l’informazione memorizzata è la transazione, cioè l’insieme di operazioni che garantiscono un passaggio di valore tra due (o più) parti. Non si deve però pensare alla transazione di bitcoin come a una registrazione contabile, a una scrittura su un libro giornale, bensì a un insieme di istruzioni in linguaggio “informatico” che, a partire da dati in ingresso (input), produce unità discrete e indivisibili di valore (output), spendibili da altre transazioni. In questo caso la transazione è più simile a un piccolo programma informatico che a una registrazione contabile.

Nell’ecosistema della blockchain di bitcoin tutto funziona perché sono i nodi della rete a creare il dato (attraverso i miner) e sono gli stessi nodi che “muovono valore” all’interno della rete. È il processo di creazione dei blocchi nella blockchain (con la proof of work e il consenso) a garantire l’immodificabilità dell’informazione, ma è come è costruita la transazione e il processo di validazione della stessa a garantire il vero passaggio di valore.

La blockchain, inoltre, può certo avere delle valide prospettive di applicazione in relazione agli smart contract, che non sono contratti, ma, semplicemente, protocolli informatici e programmi – memorizzati ed eseguiti dalla blockchain – per rendere possibile nel mondo digitale la verifica, la negoziazione e l’esecuzione dei contratti stessi, senza l’uso di terze parti.

Così, poiché la blockchain nasce per dare la possibilità di “affrancarsi” da una terza parte (che sia un intermediario o un attestatore), la vera sfida è comprendere se la stessa può avere una reale applicazione anche nel trasferimento o nella semplice “gestione” di asset reali. In questo caso, infatti, la blockchain non può garantire nulla sulla autenticità o sulla veridicità dell’informazione in essa contenuta – in quanto l’informazione nasce esternamente alla blockchain – ed è quindi inevitabile che tanti progetti si dovranno scontrare anche con l’aspetto giuridico (il diritto è costretto quasi sempre a rincorrere la tecnica, come altre volte si è riportato). Infatti, molti dei progetti di blockchain fino a qui prospettati non sembrano avere un senso se non riceveranno uno specifico inquadramento giuridico.

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