Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le pronunce di Milano: integrativa, società cancellate, responsabilità intermediari

di Enrico Holzmiller, Cecilia Cantaluppi e Gaetano Sirimarco

La Commissione tributaria di Milano si è espressa su una serie di vicende riguardanti i termini di rettifica per le dichiarazioni fiscali; la responsabilità degli ex soci e del liquidatore; le violazione commesse in condizioni di incertezza normativa e le responsabilità dell’intermediario e dell’intermediato in caso di culpa in vigilando.


Dichiarazioni fiscali rettificabili fino alla decadenza dell’accertamento
Secondo i giudici della Ctp di Milano, la tesi oggi prevalente sul tema della emendabilità delle dichiarazioni fiscali è quella confermata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 13378 del 30 giugno 2016. Detta tesi giurisprudenziale, ormai consolidata, sostiene che le dichiarazioni fiscali, in quanto dichiarazioni di scienza, possono essere liberamente emendate ogni qualvolta, per errore di fatto o di diritto, derivi al contribuente un onere contributivo diverso e più gravoso di quello che gli compete.
In tal senso, è da ritenersi che il limite previsto dall'articolo 2, comma 8bis del Dpr 322/1988, riferito al limite temporale della emendabilità della dichiarazione integrativa entro l'esercizio successivo, debba ritenersi circoscritto alla compensazione fiscale ex art 17 Dlgs 241/1997.
L’esistenza di una possibile “emendabilità lunga” risulterebbe confermato anche dal Dl n.193/2016, che prevede il diritto del contribuente di rivendicare le proprie pretese in sede contenziosa, disponendo la ripresentabilità delle dichiarazioni a proprio favore fino al termine di decadenza della azione di accertamento.
Sentenza Ctp Milano n. 5188/2017

Gli ex soci e il liquidatore sono responsabili per la società cancellata dal registro imprese
La fattispecie in commento riguarda una pretesa erariale richiesta dall’ufficio a un soggetto giuridico cancellato dal Registro Imprese. I giudici confermano la sentenza di primo grado precisando che l’articolo 36 comma 3 del Dpr 600/73 riconosce la responsabilità dei soci per le imposte dovute dalla società, «se e nel limite in cui abbiano ricevuto denaro e altri beni sociali nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti la messa in liquidazione, con la conseguenza della successione giuridica della società, degli ex soci, nei debiti della società, nei limiti e alle condizioni previste dall’articolo 2495 C.c.». L’ex socio, quindi, è tenuto a rispondere non solo delle obbligazioni tributarie già definitivamente accertate, ma anche delle imposte non ancora definite al momento dell’estinzione della società, seppur nei limiti suesposti. Allo stesso modo, si precisa, il liquidatore risponde in proprio del pagamento delle imposte dovute per il periodo di liquidazione e per quelli anteriori se non prova di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci, ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.
Sentenza Ctr Milano n. 3464/2017

La responsabilità dell’intermediario ricade sull’intermediato se c’è culpa in vigilando
Con la sentenza in epigrafe, i primi giudici respingono in toto, in quanto infondato, il ricorso di una società di capitali a cui l’agenzia delle Entrate rettificava l’Iva in detrazione, il cui principale argomento a propria difesa si basava sulla condotta fraudolenta dell’intermediario fornitore. Anche ad ammettere che tale condotta sia stata posta in essere e che ciò sia avvenuto a totale insaputa della società, la responsabilità fiscale della stessa permane ed è palesemente connotata dalla culpa in eligendo e in vigilando. Tra intermediario e contribuente vi è un rapporto privatistico che espone il primo a responsabilità contrattuale, ma da esso non può originarsi una sostituzione ai fini fiscali (del primo nei confronti del secondo), che la legge contempla solo in casi ben determinati (art. 64 c.1 Dpr 600/73).
Sentenza Ctp Milano n. 5204/2017

Non punibilità dell’autore della violazione in condizioni di incertezza normativa
La fattispecie trattata si riferisce alle difficoltà che un giudice può incontrare nel valutare un accertamento qualora manchino riferimenti di legge chiari da poter richiamare. In tali casi, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge. Qualora non sia possibile individuare una coerente normativa di riferimento, l’articolo 6, comma 2, Dlgs 472/97 dispone che «non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono».
Sentenza Ctr Milano n. 3476/2017


(Hanno collaborato Domenico Crosti e Natalia Falco)

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