Diritto

Concordato, niente revoca per vecchie anomalie già dichiarate

Si può discutere di revoca solo se si rilevano fatti non noti e condotte ingannevoli che incidono sugli interessi dei creditori, e dunque sul grado di consapevolezza del loro consenso

di Michele D’Apolito

La revoca del concordato può intervenire in caso di omissioni informative o mancata rilevazione contabile di fatti importanti per il consenso dei creditori, in prossimità o durante la procedura stessa; tale provvedimento non può essere causato dalla presenza di anomalìe legate ad operazioni compiute in passato dagli amministratori, risalenti nel tempo ed adeguatamente esposte nel ricorso alla procedura.

Questo è quanto ha stabilito con decreto del 24 febbraio scorso il Tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi in merito alla relazione del Commissario giudiziale di una procedura di concordato, ai sensi dell’articolo 173 della legge fallimentare, nella quale venivano poste all’attenzione dei magistrati alcune circostanze meritevoli di valutazione.

In particolare, veniva esposta la non corretta contabilizzazione e rappresentazione nel piano di operazioni infragruppo, la cessione di una partecipazione – avvenuta cinque anni prima – in assenza una perizia di congruità, l’emersione di altre circostanze tali da pregiudicare, nel parere del Commissario, il raggiungimento della percentuale minima da assicurare ai creditori.

Riguardo alla prima circostanza contestata, il Tribunale ha richiamato quanto affermato dall’attestatore rispetto alla sostanziale attendibilità del quadro contabile di riferimento, essendo compito di tale professionista quello di validare la veridicità dei dati attuali posti a base del piano, non quello di svolgere una revisione postuma finalizzata a potenziali azioni risarcitorie. Invece, la valutazione di quest’ultimo aspetto compete proprio al Commissario, che dovrà darne conto nella sua relazione a beneficio dei creditori.

In merito al valore di cessione di una partecipazione detenuta alcuni anni fa, per la quale la società ha opposto non solo l’effettiva presenza di una stima, ma anche il giudizio positivo del revisore per l’esercizio in cui tale vendita è intervenuta, i giudici milanesi affermano come tale circostanza - verificatasi diverso tempo fa - possa essere valutata dal Commissario quale possibile asset di un’alternativa fallimentare, non essendovi obbligo per la società di stimare nell’attivo concordatario il ricavato di possibili azioni di responsabilità o revocatorie, e non essendo peraltro compito dell’attestatore.

Infine, riguardo all’eccezione dell’improbabile raggiungimento della percentuale minima di soddisfacimento per i creditori, i fatti su cui il Commissario poggia i propri dubbi possono essere oggetto di ponderata esposizione e valutazione dei creditori, a seguito della relazione prevista dall'articolo 172 della legge fallimentare.

Ciò che rileva ai fini della revoca è infatti la correlazione tra la condotta del debitore e la rappresentazione dei fatti posti alla base del piano: solo laddove il Commissario rilevi fatti non noti e condotte ingannevoli che incidono sugli interessi dei creditori, e dunque sul grado di consapevolezza del loro consenso, potrà discutersi di revoca. Nel caso di specie, si è in presenza di circostanze inerenti a fatti passati, peraltro oggetto di disclosure nel ricorso, e valutazioni del Commissario che potranno essere rappresentate ai creditori sotto il profilo di azioni risarcitorie nell'alternativa liquidatoria.

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