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Qualifica Onlus e assenza di scopo di lucro irrilevanti per il classamento dell’immobile

La Cgt Lombardia: occorre tener conto delle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche) dell’immobile e della sua destinazione funzionale e produttiva

di Gabriele Sepio e Vincenzo Sisci

Qualifica Onlus e assenza di scopo di lucro irrilevanti ai fini del classamento dell’immobile. È il principio espresso dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia nella sentenza 4045/25/2022, in merito a una vicenda legata al corretto inquadramento catastale di un immobile adibito ad attività socio-sanitaria.

La pronuncia, resa in sede di appello, trae origine da un atto di rettifica catastale a seguito di dichiarazione Docfa di una Onlus. In particolare, l’Ufficio respingeva la categoria catastale ordinaria B/2 (case di cura e ospedali senza fine di lucro) proposta dalla contribuente a seguito di «diversa distribuzione degli spazi interni», assegnando all’immobile quella speciale D/4 (case di cura e ospedali con fine di lucro) con attribuzione di una rendita catastale quintuplicata rispetto a quella dichiarata dalla Onlus.

Se in primo grado la contribuente aveva avuto la meglio vedendosi accolta dalla Ctp la propria difesa incentrata sulla qualifica di Onlus e sul mancato svolgimento di un’attività di carattere commerciale, in appello l’esito del giudizio viene ribaltato. La motivazione della sentenza in commento, richiamando numerosi precedenti della Cassazione, chiarisce che ai fini della classificazione catastale occorre muoversi entro una prospettiva “reale”. In altri termini, occorre tener conto delle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche) dell’immobile e della sua destinazione funzionale e produttiva. Non potrà, per contro, rilevare il carattere pubblico o privato della proprietà del fabbricato né tantomeno le eventuali funzioni sociali ivi esercitate.

Per di più, sempre richiamando i princìpi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte di giustizia tributaria osserva che il fine di lucro, previsto dalla legge come criterio di classificazione, rileva in termini puramente oggettivi. Ciò significa che la categoria catastale va desunta dalle caratteristiche strutturali dell’immobile, irreversibili se non attraverso modifiche significative, mentre la tipologia di attività condotta può costituire al più un criterio complementare ma mai alternativo o esclusivo ai fini del classamento.

Ora, se da un lato la sentenza ricostruisce correttamente il perimetro normativo di riferimento sulla base di una giurisprudenza costante della Suprema corte (è certo che la categoria catastale si determina in virtù delle caratteristiche intrinseche dell’unità immobiliare), altrettanto scontata non appare l’applicazione di tali princìpi nel caso concreto. A ben vedere, la valorizzazione della sola planimetria non appare un criterio probatorio idoneo ad affermare univocamente la destinazione commerciale del fabbricato.

È appena il caso di segnalare che, partendo esattamente dal medesimo orientamento, la stessa Cassazione ha escluso la sussistenza degli elementi per la classificazione in categoria D/4 di una struttura destinata a residenza per anziani (pronuncia 25992/2020). In altri termini, i princìpi della Suprema corte devono essere calati nei singoli casi concreti, senza giungere automaticamente a una qualificazione commerciale dell’immobile.

D’altro canto, l’orientamento espresso dalla sentenza in commento è di estremo impatto per tutte le residenze socio-sanitarie e le case di cura gestite da enti non profit, chiamati ad assegnare al proprio immobile la categoria catastale più idonea.