Adempimenti

Le pagelle fiscali archiviano il redditometro

di Marco Mobili e Giovanni Parente

Più uno spauracchio che un vero strumento di contrasto all’evasione fiscale. Il redditometro messo di fatto in naftalina dall’amministrazione finanziaria è ora in stand by anche in via normativa. Il decreto estivo (Dl 87/2018) del Governo Conte blocca l’utilizzo degli indicatori per la ricostruzione del tenore di vita per gli accertamenti dall’anno d’imposta 2016. I contribuenti già selezionati per gli anni precedenti (dunque fino al 2015) e per i quali la “ricchezza” non corrisponde al reddito indicato nella dichiarazione dovranno comunque continuare a difendersi e portare i “giustificativi” delle spesa extra sostenute. Una clausola di salvaguardia contenuta nel decreto che ha consentito di non trovare coperture alla misura. I margini temporali per riscrivere il provvedimento attuativo del 2015 sono ampi: per gli accertamenti sul 2016, infatti, c’è tempo fino al 2022, ossia il termine di decadenza.

In realtà, il restyling del redditometro (che, secondo le migliori intenzioni del decreto, dovrebbe essere adottato sentiti l’Istat e le associazioni di categoria dei consumatori e dei risparmiatori) potrebbe non vedere mai la luce. Per due ordini di motivi. In primo luogo, lo “scambio” tra accertamento sintetico e promozione della compliance da realizzare con il definitivo addio al redditometro e l’arrivo degli Isa, gli indicatori sintetici di affidabilità fiscale (Isa) che sostituiranno dalle dichiarazioni del prossimo anno gli studi di settore. In secondo luogo, per l’ormai scarsissimo utilizzo del redditometro certificato anche dai numeri della Corte dei conti. Nel 2017 è proseguito l’iter discendente degli accertamenti sintetici (la macrofamiglia a cui appartiene il redditometro): sono stati appena 2.024, con un calo del 28% sull’anno precedente e addirittura del 94,6% rispetto al 2012. Ancor più indicativi i numeri sul recupero effettivo. Quello complessivo si è fermato ad appena un milione di euro, mentre se si guarda la scomposizione per importi medi il 16,8% degli accertamenti (340 su 2.024) ha comportato un’emersione d’imposta ricompresa tra 0 e 1.549 euro. Cifre che hanno portato la Corte dei conti ad affermare nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello Stato che l'accertamento sintetico ha «perso completamente rilievo nell'azione di controllo fiscale, anche oltre i limiti che un uso oculato dello strumento lascerebbe prevedere e nonostante le arrischiate aspettative di gettito che ad esso erano state attribuite». Basti pensare che erano attesi 741,2 milioni nel 2011, 708,8 milioni nel 2012 e 814,7 milioni nel 2013.

A voler cercare le ragioni di questi numeri così risicati, una possibile spiegazione è rappresentata dalle garanzie introdotte per norma o per prassi a tutela del contribuente che rendono quindi la procedura di accertamento sintetico e redditometro molto vincolante per gli uffici. C’è poi una questione metafiscale da non sottovalutare che, negli ultimi anni, ha acquisito un peso preponderante sul destino del redditometro. Da un contrasto senza confine a chi dichiarava redditi zero e in realtà possedeva auto di lusso (tanto per fare qualche esempio), si è passati alla ricerca dell’autoemersione attraverso la compliance. Una strategia politicamente meno aggressiva ma che comunque sta cominciando a dare i suoi risultati: 1,3 miliardi recuperati attraverso alert e lettere lo scorso anno.

Il destino del redditometro è per molti tratti simile a quello degli studi di settore. Almeno in termini di utilizzo in chiave di controllo. Gli accertamenti veri e propri, nel 2017, sono stati poco più di 2.500 (quasi l’81% in meno rispetto al 2012) e si sono fortemente ridotti anche gli accessi brevi (17.481, ossia meno della metà dei 36.456 del 2012). Qui lo spartiacque è rappresentato dalle sentenze a Sezioni unite della Cassazione alla vigilia del Natale 2009, in base alle quali gli studi di settore non bastano da soli a legittimare le rettifiche dell’amministrazione finanziaria. Anche per questo si è scelto un cambio culturale: utilizzare l’evoluzione dello strumento non più per le verifiche successive ma per elevare già in dichiarazione i ricavi o compensi. Il tutto con l’«arma» dei vantaggi fiscali da incassare per i comportamenti virtuosi: dalla corsia accelerata per i rimborsi alla riduzione di alcuni termini di accertamento. Gli «Isa» funzioneranno come delle vere e proprie pagelle fiscali che si applicheranno a regime a circa quattro milioni di partite Iva. Chi conseguirà un voto alto, in base ai valori relativi all’attività economica, avrà vantaggi fiscali. E proprio in questo modo il cerchio potrebbe chiudersi, mandando definitivamente in archivio il redditometro o almeno lo spauracchio che il solo pronunciare il suo nome ha sempre evocato.

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