Controlli e liti

Niente responsabilità 231 per il reato precedente alla riforma del 2019

La riconfigurazione della tentata truffa in dichiarazione fraudolenta esclude la responsabilità amministrativa

di Patrizia Maciocchi

La società non risponde per il reato di dichiarazione fraudolenta, commesso dal suo amministratore prima dell’entrata in vigore del decreto fiscale del 2019, che ha introdotto i reati tributari tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti. La Cassazione (sentenza 41582) accoglie il ricorso di una Srl, considerata dalla Corte d’appello responsabile, in base al Dlgs 231/2001, dell’illecito amministrativo derivante da una tentata truffa a danno dello Stato, messa in atto dal suo legale rappresentante nel suo interesse o comunque a suo vantaggio.

A “salvare” la società è l’inquadramento sbagliato - da parte dei giudici di merito - del reato addebitato al manager nella tentata truffa, anziché nell’indebito rimborso Iva per un credito di imposta inesistente. Ad avviso della Corte territoriale il tentativo di truffa era finalizzato a ottenere un indebito rimborso di imposta attraverso rappresentazioni mendaci sia nelle scritture contabili sia nella dichiarazione. Condotta che, per la Cassazione, rientra nel raggio d’azione dell’articolo 2 del Dlgs 74/2000 e dunque nella dichiarazione fraudolenta.

La configurazione del reato tributario esclude la tentata truffa, in nome del principio di specialità tra le due norme incriminatrici. Da tempo, e anche a Sezioni unite, la Cassazione ha risolto il conflitto tra il reato di frode fiscale e la truffa aggravata ai danni dello Stato, a favore delitto tributario, con la conseguente applicazione del Dlgs 74/2000 e dunque di una norma speciale e autosufficiente.

Il reato applicato dalla Cassazione non è quindi idoneo a far scattare la responsabilità dell’ente, perché i fatti sono stati commessi prima dell’entrata in vigore del Dl 124/2019. Il cosiddetto decreto fiscale collegato alla manovra 2020, convertito con modificazioni dalla legge 157/2019, che ha introdotto nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità dell’ente, prevista dal Dlgs 231/2001, il reato di «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti». La norma ha aggiunto nel decreto 231 l’articolo 25-quinquiesdecies sui «Reati tributari» che punisce l’ente responsabile con una sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.

La Suprema corte annulla invece anche la sanzione pecuniaria di 200 quote, per un importo pari a 800 euro ciascuna, inflitta alla società ricorrente per la responsabilità nella tentata truffa: un reato presupposto non ipotizzabile. Ed esclude la possibilità di applicare la nuova norma sui reati tributari.

Anche secondo il decreto 231 (articolo 2), infatti, «l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto».

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