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Ravvedimento, ecco perché regolarizzare ogni singola violazione può frenare la convenienza

La nuova connotazione del ravvedimento operoso altera profondamente le sue finalità. La disciplina modificata dalla legge 190/2014 solleva una serie di dubbi e di perplessità

di Dario Deotto

Con la legge 190/2014 l’istituto del ravvedimento operoso ha subito profonde modifiche, allo scopo - almeno secondo le intenzioni del legislatore - di incentivare l’adempimento spontaneo del contribuente.

Le ragioni

Va rilevato che la ratio originaria del ravvedimento operoso risultava quella di consentire all’autore di omissioni o di irregolarità di rimediarvi spontaneamente, prima della constatazione delle violazioni da parte dell’amministrazione finanziaria. In sostanza, l’istituto coniugava, in particolare, l’interesse a far sì che il contribuente che, generalmente in “buona fede”, avesse errato, e che si attivava per rimediare all’irregolarità commessa, di potere fruire di penalità ridotte.

Due risultavano perciò le caratteristiche peculiari del ravvedimento:

1) la spontaneità, nel senso che l’istituto era utilizzabile soltanto prima della constatazione della violazione da parte dell’amministrazione finanziaria;

2) l’ambito temporale entro il quale risultava possibile la regolarizzazione ex post, che poteva avvenire entro il termine massimo di presentazione della dichiarazione successiva rispetto a quella in cui era stata commessa la violazione.

In base all’attuale previsione normativa, invece, i contribuenti possono fruire dell’istituto per tutti i periodi d’imposta ancora accertabili e a prescindere dall’eventuale inizio di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività “prodromiche” all’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria, posto che, in base all’attuale dettato normativo, per i tributi amministrati dall’agenzia delle Entrate, solamente la «notifica degli atti di liquidazione e di accertamento, comprese le comunicazioni recanti le somme dovute» in base agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973 costituisce situazione ostativa al ravvedimento.

Le criticità

È chiaro che, con la nuova connotazione del ravvedimento operoso, le sue finalità risultano profondamente alterate, così che la nuova disciplina solleva, di fatto, una serie di perplessità.

In primo luogo, suscita più di qualche dubbio il fatto che il contribuente possa effettuare la regolarizzazione fino ai termini decadenziali di accertamento. A parere di chi scrive è indubbio che il contribuente avrà meno interesse ad eseguire il ravvedimento man mano che si avvicinano i termini di decadenza dell’azione di accertamento. Che senso ha rivelare spontaneamente ciò che, con ogni probabilità, più si avvicina lo spirare dei termini di decadenza, l’amministrazione non sarà in grado di contestare?

Un’altra criticità è che il ravvedimento operoso ha abbandonato, di fatto, la spontaneità del comportamento rimediale del contribuente.
Al ravvedimento non si applicano più, infatti, come è stato in precedenza rilevato, perlomeno per i tributi amministrati dall’agenzia delle Entrate, le preclusioni secondo le quali il contribuente non ne poteva fruire qualora fossero «iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento». Così che, in linea di principio, il trasgressore può ora regolarizzare la violazione commessa non solo in costanza dell’attività di controllo ma, addirittura, dopo la constatazione della violazione per mezzo del processo verbale di constatazione.
Ebbene, in questo modo, si è dell’avviso che la premialità della riduzione della sanzione prevista dal ravvedimento perda la sua significatività, posto che l’applicazione di penalità ridotte nel ravvedimento aveva una sua giustificazione proprio nella spontaneità del contribuente: consentire, invece, il ravvedimento anche in presenza di constatazione della violazione fa indubbiamente venire meno le finalità della disciplina, andando incontro solamente alle finalità di gettito.

Peraltro, va considerato un aspetto fondamentale: nel ravvedimento operoso non trovano applicazione le disposizioni sul «cumulo giuridico» (articolo 12 del Dlgs 472/1997), il quale può essere applicato soltanto da parte dell’ufficio impositore. Nel ravvedimento, quindi, il contribuente deve regolarizzare ogni singola violazione, non potendo cumularle giuridicamente. Così che al contribuente che commette più violazioni (quindi anche e soprattutto in presenza di un Pvc che contiene plurime violazioni) non sembra sempre conveniente - sotto il mero profilo dell’esborso finanziario - fruire del ravvedimento operoso, risultando più favorevole aspettare l’irrogazione dell’unica sanzione (debitamente elevata), per effetto del principio del «cumulo giuridico», per poi provvedere alla sua definizione (dell’unica sanzione) attraverso i vari istituti deflativi presenti nell’ordinamento tributario.

In sostanza, nel ravvedimento operoso il contribuente deve regolarizzare ogni singola violazione, mentre nel caso in cui il contribuente non effettui ex post alcuna regolarizzazione, l’ufficio dell’amministrazione, se scopre le violazioni, deve irrogare le penalità tenendo conto del richiamato principio del cumulo giuridico. Il caso più evidente risulta quello dell’Iva, dove la violazione dell’infedele dichiarazione il più delle volte deriva da una violazione commessa “a monte” (omessa fatturazione, indebita detrazione eccetera).

Nel ravvedimento, quindi, il contribuente deve regolarizzare ognuna delle singole violazioni commesse (omessa fatturazione, indebita detrazione, infedele dichiarazione annuale), mentre, se “scoperto” dall’amministrazione finanziaria, quest’ultima irrogherà un’unica sanzione debitamente elevata (secondo i principi del cumulo giuridico).

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