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Revisione legale, il report degli esperti non attenua la responsabilità

Le evoluzioni tecnologiche, l’epoca Covid ed i nuovi paradigmi che impattano sui processi produttivi dell’impresa, implicano un costante atteggiamento scettico professionale da parte del revisore

Fintech, green deal, artificial intelligence, e-learning machine, transizione ecologica, digital transformation, supply chain, blockchain, industria 4.0, Iot, ricerca e sviluppo, bitcoin eccetera sono alcuni dei principali nuovi paradigmi ad impatto anche sui processi produttivi che stanno caratterizzando e caratterizzeranno sempre più, il modo di fare impresa. Con esso anche la modalità di acquisizione dei fattori della produzione di beni e servizi, loro immissione nei cicli produttivi e di trasformazione e cessione dei predetti, per gli usi e consumi.

Questo processo di trasformazione in atto, che a dire il vero è stato preceduto da un imponente processo di informatizzazione operativa delle imprese al punto da divenire, in special modo in taluni contesti tipici, di tipo dominante (it dominant), ha già da tempo (e oggi ancora di più) sollevato non pochi problemi nell’ambito delle attività di revisione contabile dei bilanci (individuali e consolidati), di queste innovative aziende (e a cascata di quelle interconnesse) comportando un complesso e costante atteggiamento scettico professionale del revisore con riferimento, ad esempio, ai mezzi, strumenti, conoscenze, competenze e supporto, anche di specialisti interni e/o esterni, nella conduzione delle attività di revisione.

In speciale modo in quegli ambiti e settori in cui le competenze del revisore e la sua maturità professionale possono essere (positivamente) tali, da valutare di richiedere il supporto di competenze specialistiche, per acquisire elementi probatori sufficienti ed appropriati su cui basare il proprio giudizio professionale.

L’utilizzo dell’esperto e la responsabilità del revisore

Il principio di revisione internazionale Isa Italia 620 tratta gli aspetti connessi all’uso del lavoro dell’esperto del revisore e sua responsabilità.

L’ Isa Italia 620, nello specifico precisa che è di esclusiva competenza del revisore la responsabilità del giudizio professionale e tale responsabilità non è sollevata dal coinvolgimento, in specifiche tematiche tecniche, dall’utilizzo di un esperto coinvolto dal revisore.

Se appare pacifico che il revisore che utilizzi un esperto interno alla propria stessa organizzazione (ad esempio, un esperto di impairment), possa avere la piena responsabilità del lavoro svolto da tale esperto interno, meno scontato appare il caso in cui il revisore utilizzi (in osservanza alle analisi dettate dai principi in oggetto opportunamente documentate), un esperto di fiducia, esterno alla propria organizzazione (ad esempio un perito), specialmente quando quest’ultimo, ad esempio, sia a sua volta iscritto in albi ed appartenga ad associazioni ordinistiche e dotato delle dovute competenze ed abilitazioni professionali, oltre che vantare, ad esempio, una consolidata reputazione.

Al pari può dirsi anche nel caso in cui il revisore utilizzi l’esperto della direzione (ad esempio il perito che ha effettuato le stime giurate); o utilizzi valutazioni di mercato, reperibili da fonti e siti ufficiali (esempio Omi, oppure, perizie asseverate recenti o altre fonti autorevoli ed oggettive), sempre che abbia esperito le procedure di revisione previste dai principi di revisione. In tale scenario, valutazioni in merito non possono che cogliersi dalle disposizioni giuridiche e dagli orientamenti giurisprudenziali in materia.

Il punto di partenza per l’analisi è l’articolo 15 del Dlgs 39/2010 che sancisce la responsabilità del revisore che non adempie ai propri doveri nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione, dei suoi soci e dei terzi, che sul giudizio di revisione hanno fatto affidamento.

Il tema della responsabilità del revisore che si avvale di un esperto, deve essere quindi inquadrato nel più ampio tema dell’adempimento del revisore ai propri doveri e del grado di diligenza ad esso richiesto.

Senza voler entrare, in questa sede, nel complesso dibattito sulla natura di obbligazione di mezzi o di risultato dell’attività di revisione e sulla natura contrattuale (o anche da contatto sociale), o extracontrattuale della sua responsabilità nei confronti dei terzi e correlato onere della prova della colpa (o del dolo), ci si limita a ricordare che scopo dell’attività del revisore è fornire non la certezza ma una ragionevole sicurezza che il bilancio non sia inficiato da errori significativi e che, per espressa previsione dell’articolo 11 del Dlgs 39/2010, il revisore deve svolgere la propria attività in conformità ai principi di revisione.

Ciò non significa che l’attività del revisore consista nella mera applicazione meccanica ed acritica di tali principi ma, ad avviso di chi scrive, nemmeno può significare che nella valutazione dell’eventuale responsabilità non si debba tener conto del fatto che il revisore si sia o meno diligentemente attenuto ai principi di revisione.

Trattandosi di attività professionale, assumono poi rilievo l’articolo 1176, comma 2, del Codice civile ai sensi del quale il revisore dovrà svolgere il proprio compito con la diligenza richiesta dalla natura dell’attività esercitata e quindi una diligenza qualificata e l’articolo 2236 del Codice civile secondo il quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà il prestatore d’opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave, seppur l’applicabilità al revisore di questa ultima disposizione è discussa.

Il principio di revisione Isa Italia 620, sopra richiamato, afferma che il revisore ha l’esclusiva responsabilità del giudizio di revisione e che tale responsabilità non è attenuata dall’utilizzo del lavoro di un proprio esperto.

Questo enunciato trova il suo fondamento nell’evitare che il revisore si spogli delle sue responsabilità delegando, nei fatti, parzialmente ad altri, il proprio giudizio professionale, tuttavia, sempre a parere di chi scrive, esso non può leggersi in modo acritico ed al di fuori del quadro della disciplina civilistica in materia di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, né applicarsi al di fuori dell’ambito di applicabilità di tale principio.

Ed in tale ottica dovrebbe considerarsi che, come sopra illustrato, gli stessi principi di revisione Isa Italia 620, che tale enunciato prevede, e 500 impongono al revisore un’attenta valutazione della competenza dell’esperto e sua indipendenza dalla società revisionata e la valutazione dell’adeguatezza del lavoro dell’esperto.

Ciò dovrebbe portare ad una più attenta valutazione della responsabilità del revisore che, in conformità a tali principi di revisione, si sia avvalso di un esperto di cui abbia verificato la professionalità ed obiettività di giudizio e il cui lavoro si presenti coerente, adeguatamente motivato e idoneo a supportare il proprio giudizio professionale.

Se da un lato appare difficile sostenere che la valutazione del revisore del lavoro dell’esperto si debba estendere fino alla sua ri-verifica del merito, poiché questa richiederebbe al revisore proprio quelle competenze specialistiche mancanti al revisore e per le quali questi si è rivolto all’esperto, dall’altro lato, però, il revisore adempiendo ai propri doveri nel valutare l’idoneità del lavoro dell’esperto a fondare il proprio giudizio professionale accertando l’adeguatezza dell’elaborato peritale, la sua coerenza e la mancanza di errori ed omissioni palesi, riconoscibili anche a un non esperto, come del resto i principi contabili richiedono, limita la sua responsabilità.

Appare opportuno, comunque, adeguatamente valutare, ipotesi di casistiche e di circostanze che possano alleggerire la responsabilità del revisore, quando questi usa, in conformità ai principi di revisione, il lavoro di esperti o di fonti ufficiali esterne, rilevatisi in seguito erronei.

In conclusione, nei casi in cui il revisore per quanto abbia rispettato i principi contabili nella valutazione dell’esperto e del suo lavoro ed applicato la diligenza richiesta, ma, ciò nonostante, a causa di un errore dell’esperto, il suo giudizio professionale si riveli non attendibile, risulta difficile negargli a priori l’esclusione o quantomeno la limitazione della sua responsabilità.

Fermo restando comunque, che l’errore professionale non è di per sé fonte di responsabilità perché il soggetto che tale responsabilità intende invocare dovrà dimostrare il nesso causale tra l’errore e il lamentato danno, ovvero, che il lamentato danno è stato causato proprio dall’affidamento rivolto al giudizio di revisione, poi rivelatosi errato, e che l’errore nello stesso è stato determinante nella propria scelta ad es. di investimento o di acquisizione.

I tempi forse sono maturi per una rivisitazione delle responsabilità dei revisori e dei principi di revisione, anche nell’ambito degli aspetti di cui discusso nel presente intervento.

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