Controlli e liti

Alla Ctr dovere di verifica sulle prove dell’Ufficio

La Commissione tributaria deve valutare attentamente la congruità delle allegazioni; per le fatture inesistenti va dimostrata anche la consapevolezza del cliente

di Laura Ambrosi

È nulla la sentenza che, in tema di fatture soggettivamente inesistenti, si limiti ad affermare che il contribuente non ha assolto all’onere probatorio, se non ha preliminarmente verificato le prove prodotte dall’Ufficio.

Il Giudice deve infatti riscontrare concretamente che l’amministrazione fiscale abbia dimostrato sia la fittizietà del fornitore, sia anche la consapevolezza del contribuente in relazione alla frode. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con l’ordinanza 26477/22 depositata l’8 settembre.

Una società impugnava dinanzi al giudice tributario due accertamenti con i quali veniva recuperata l’Iva su alcune fatture ritenute soggettivamente inesistenti. In esito ad una verifica, infatti, un fornitore era stato considerato una mera cartiera e pertanto veniva recuperata integralmente l'Iva detratta dalla società. Nei ricorsi, tra i diversi motivi d’impugnazione, veniva evidenziata anche la buona fede della contribuente, atteso che dinanzi ai dati noti, non poteva conoscere le irregolarità commesse dal proprio fornitore. Entrambi i giudici di merito confermavano però la legittimità degli atti impositivi, sul presupposto che la fornitrice fosse una cartiera.

La contribuente ricorreva così in Cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, un vizio di motivazione della pronuncia.

La Ctr infatti non aveva spiegato le ragioni del proprio convincimento. Sul punto, preliminarmente la Suprema Corte ha ricordato che nel processo tributario è nulla la sentenza che non riscontri le eccezioni dell’appellante, limitandosi a motivare per relationem la decisione di primo grado. Occorre, infatti, che si evincano le ragioni per le quali sono disattese le critiche dell’appellante alla prima pronuncia.

In secondo luogo, poi, la Corte di Cassazione ha ribadito che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta. Sarà poi il contribuente a dover dimostrare che non sapeva e nemmeno avrebbe potuto sapere della frode perpetrata dal proprio fornitore.

Nella specie, il giudice di secondo grado si era in realtà limitato a richiamare dei principi giurisprudenziali, peraltro ormai superati, senza alcun concreto riscontro alla vicenda esaminata.

In particolare, la Commissione tributaria regionale non aveva verificato il corretto assolvimento dell’onere della prova a carico dell’Ufficio in relazione alla fittizietà del fornitore, tanto meno sulla consapevolezza del contribuente.

Inoltre, nonostante non avesse precisato se e in quali termini l’Agenzia avesse provato la propria tesi, ha ritenuto apoditticamente che il contribuente non avesse dimostrato la propria buona fede.

La motivazione era pertanto solo apparente poiché le considerazioni svolte non spiegavano il percorso logico-giuridico seguito dal collegio.

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